Brand Community, le tipologie di community tra interessi e reti sociali.

imageRecentemente mi sono trovato nella condizione di dover articolare uno scenario di attività nei Social Media per un’azienda. L’obiettivo di questo progetto ruotava attorno alla costituzione di una community attorno al brand. nel web non ho trovato un classificazione soddisfacente delle community. Mi sono trovato anche a dover rispondere alla domanda se i fan un pagina aziendale su Facebook, per esempio, potessero essere considerati membri di una brand community.
Come vedremo nell’articolo, la mia risposta è affermativa. Il like alla pagina su Facebook può essere considerato un punto di contatto (touch-points) di un percorso di costruzione di una community aziendale (community building). Questo articolo intende fare un po’ di chiarezza, quindi, sulle varie tipologie di community, intendendole come la dimensione più importante per il marketing: nessun cliente può essere considerato sganciato dalla propria rete di interessi e rete di relazione sociale.

Community di interesse e di influenza

Community di interesse, basate prevalentemente sulla connessione tra le persone (“… un insieme di individui che condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, formando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organizzativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comuni” Wikipedia)

  • Brand Community, nei casi migliori sono delle comunità naturali che si formano intorno ad un prodotto/servizio, per condividere la passione per il brand, l’esperienza d’uso, il supporto sul funzionamento, ecc. Queste Brand Community possono essere:
    • imageOrganiche (create da utenti senza intervento di un’azienda) detto anche “esterno-esterno”
    • Sponsorizzate o patrocinate (favorito e ospitato dall’azienda) detto anche approccio “interno-esterno”
    • Gestite, dal brand e sull’iniziativa diretta dell’azienda in un’ottica di Social Media Marketing, per fidelizzare gli utenti, per il lancio di un prodotto, ecc. Anche in questo caso siamo in presenza di un approccio “interno-esterno”, ma l’ambiente web di questa community è più riconoscibile all’interno del sito aziendale, come area dedicata
    • Aziendali, gestite e abilitate all’interno dell’azienda “interno-interno”, costituite attorno ad un corporate blog interno e, nei casi migliori attorno a servizi Social: in questo caso possiamo parlare di Social Network Enterprise. Questa tipologia di community si presta molto ad entrare in relazione, in prima battuta, con la community gestita “interno-esterno”  sopra descritta.
  • imageCommunity di profilazione, molti non la considerano una community, io invece propendo per considerare l’utente profilato al sito web dell’azienda, sia per l’attività di e-Commerce fino alla semplice iscrizione alla newsletter, un’embrionale partecipazione e adesione alla community aziendale. In un blog, la profilazione costituisce la condizione per poter effettuare dei commenti, per cui siamo già in presenza di elementi di conversazione.
  • Community Istituzionali, formali, di categoria, espressione di associazioni e/o istituzioni che nel web trovano un secondo, se non unico, strumento di aggregazione e di interazione
  • Community di condivisione, più spontanee, legate a degli interessi specifici (cucina, viaggi, salute, ambiente, ecc.), di servizio/supporto, autopromosse da alcune persone in rete, poi proseguono con forza autonoma (es.: gruppi in Facebook, forum, ecc.). In molti casi queste community si riconoscono in alcuni blog molto aperti ai commenti ed ai contributi delle persone.
  • Community di apprendimento, legate alle competenze e pratiche professionali, su delle abilità particolari. Per certi aspetti i Gruppi in Linkedin svolgono questa funzione.
  • Community viral, momentanee, volatili, che si creano attorno al buzz di contenuti/argomenti di alto interesse ma momentanei: video, foto, eventi, notizie, curiosità (Pinterest si muove in questa direzione, quella già tracciata da Twitter) 
    La tipica espressione di questa intensa ma momentanea viralità è data dagli hashtag di Twitter (esempio: la discussione che si crea attorno ad un evento, un lancio di prodotto/brand … un programma televisivo, in diretta)

Community sociali, basate sulla relazione e la fiducia tra le persone

Le community di appartenenza a dei valori, basate sulla relazione sociale, sulla rete sociale. In questi reti si può parlare di capitale relazionale o anche di Social Capital definito come l’insieme delle risorse potenziali incorporate nelle reti di relazione degli individui.

Nel web il corrispettivo di queste reti sociali trovano una realizzazione molto estensiva nei servizi web di social networking come:

  • Facebook, e tutti si Social Network simmetrici, che consentono solo l’accesso reciproco alle informazioni (amico-amico)
  • Foursquare e tutti i Social Network geolocalizzati, in questo caso la relazione e al condivisione si estende ai luoghi, alla possibilità di incontrarsi

Il flusso: dall’interesse verso la rete sociale

imageChe tipo di relazione c’è tra le community di interesse e quelle basate sulle reti sociali? Secondo il mio parere c’è una relazione dinamica e di costante contaminazione in un contesto, come quello dell’era dei Social Network che stiamo vivendo, dove:

  • i legami deboli provenienti dai contatti derivanti dalle affinità, dagli interessi, ecc. sono portatori di novità e di nuovi stimoli: è l’ambito in cui l’influenza per il brand è determinata dagli opinion leader riconosciuti, dagli influencer … (brand influence)
  • i legami della rete sociale, costituiscono gli ambiti della fiducia e dell’influenza reciproca, sono in grado di influenzare il comportamento d’acquisto su questa base (brand advocacy).

Dal contatto all’amicizia: Il flusso relazionale parte dalle Community di interesse per arrivare alle Community Sociali dove le relazioni prevalgono, diventano durevoli e si consolidano: si diventa amici.

Conclusioni: per convincere occorre coinvolgere!

  • Per convincere occorre coinvolgere! Siamo in un’epoca di frammentazione crescente. Il valore della fiducia e dell’attenzione è imprescindibile.
    • Solo attraverso il coinvolgimento si riesce ad ottenere l’attenzione del cliente.
    • L’attività di Community building attorno al brand, deve partire dai valori, dai contenuti, dall’engagement … prescindendo dal web e dai Social Network. Questa attività deve muoversi, quindi, attorno alle community di interesse già esistenti.
  • Le pagine Facebook, i like dei fan costituiscono una brand community?
    • Sì, il profilo pubblico aziendale può diventare l’inizio per un percorso di brand Community, dipende dalla Digital Strategy. Se non c’è una strategia il risultato può essere addirittura controproducente!
    • Un brand avrà sempre enormi difficoltà, quindi, ad entrare nell’interno dei grafi delle reti sociali (Community sociali), mentre può e deve potersi porre in sintonia con le communities latenti, potenziali all’interesse rispetto ai valori dell’azienda e/o alla narrazione del brand.
  • Gli utenti profilati al proprio sito (sì, anche quelli che compilano il semplice form per richiedere informazioni), devono essere considerati dei prospect e trattati come tali con gli strumenti del CRM – Customer Relationship Management evolvendoli verso gli spazi social da inserire nel sito aziendale e nei profili Social Media aziendali … in un’ottica di Social CRM.
  • Termino con una grafica relativa alle tipologie di brand communities … che meglio rappresenta una visione di sintesi degli argomenti trattati in questo articolo.

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Le aziende nei Social Media. Cresce la presenza ma non la qualita’ e l’integrazione.

Cresce la presenza ma non la qualità delle attività social da parte delle aziende in Itala. Lo conferma la riedizione dell’indagine SocialMediAbility effettuata dall’Università IULM di Milano, su di un campione di 120 piccole, medie e grandi aziende. L’utilizzo dei Social Media è poco pubblicizzato nei siti aziendali, è il sintomo di una scarsa attenzione e/o di un’attività ancora poco integrata se non priva di adeguata strategia.  
I dati sono confrontati con un’analoga indagine effettuata nel 2011 e rilevano un salto quantitativo complessivo circa la presenza e l’utilizzo dei Social Media, non supportati, come vedremo da un’adeguata attività, soprattutto in ordine alla pubblicazione dei contenuti e dei relativi feedback/share da parte degli utenti.

Indagine
SocialMediAbility: dati riepilogativi

2010

2011

Utilizzo di almeno un social media

32%

49,9%

Presenza di link agli ambienti social su sito aziendale

17%

25%

Social media più utilizzati:
– Facebook
– Youtube
– Linkedin
– Twitter


35%
14%
18%
9%


71%
40%
38%
32%

Analizziamo po’ più da vicino questi dati.

Utilizzo di almeno un social media

Fa specie rilevare che la Pubblica Amministrazione è al primo posto come utilizzo di almeno un Social Media (sul totale del target PPAA), passando dal 37% all’attuale 54%, più avanti della moda che si ferma al 52%.
Il fanalino di coda va al settore Hospitality (Hotel. alberghi, ecc.). Chi l’avrebbe mai detto? proprio il settore che, nel comparto turistico, traina l’e-Commerce, con la metà del fatturato online …, passa dal 23% del 2010 al 33% del 2011.
Altro elemento importante: le piccole aziende, passano dal 9,8% del 2010 al 43% del 2011, poco distanti dalle medie (47,2%) e le grandi (58,4%). Quest’ultime crescono poco, circa l’utilizzo di almeno un Social Media, passando dal 57,9 al 58,4%, ipotizzando un curva di maturità e/o di saturazione, di questo dato, intorno al 60%.
Ecco il grafico dei dati totali dell’Utilizzo di almeno un social media:

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Presenza di link ai Social Media nel sito web delle aziende

La cosa che mi lascia un po’ perplesso, circa i dati sopra riportati, riguarda la presenza di link agli ambienti social, all’interno dei sito aziendale: il 17 % nel 2010 e il 25% nel 2011: la metà delle aziende, confrontato con l’utilizzo di almeno un Social Media … come mai?
Se un’azienda, per esempio, ha una pagina Facebook (utilizzato dal 71% delle aziende del campione) perché poi non dovrebbe inserire il link all’interno del suo sito? Il sospetto è che l’indagine sia generica nell’indicare quali link siano pubblicati sul sito aziendale. La creazione di una profilo su Linkedin (utilizzato dal 38%) per esempio, o su Flickr (18%), potrebbe non comportare l’esigenza  (necessaria, nel caso di Facebook o Twitter) di una pubblicazione di un banner/link all’interno del sito. Questa è un’ipotesi, certo, ma ritengo che un’azienda che non pubblicizzi la propria presenza nei social media nel proprio sito non sia un’azienda con un presenza nei Social Media. Sulla base di questa affermazione il dato complessivo del 49,9% delle aziende che hanno almeno un link sia fuorviante, come computo della presenza nei social media.

L’andamento 2010 e 2011 circa la presenza di link ai Social Media nel sito web delle aziende:

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Altre motivazioni possono emergere dal settore dell’azienda. Nella Pubblica Amministrazione, solo nel 21% dei siti sono presenti link (a fronte, come abbiamo visto prima, della dichiarazione di utilizzare almeno un Social del 54%), stesso andamento per le banche. Sono settori, questi, che con ogni probabilità non ostentano la loro presenza nei social in siti che hanno una finalità, magari, molto istituzionale …
Diverso il comportamento delle aziende nella Moda, nell’Hospitallity e negli Alimentari, settori che ritengono più coerente la pubblicizzazione della presenza nei Social Media anche nei propri siti, strategia elementare ma indispensabile per ricavarne dei benefici.

Ecco il grafico relativo alla Presenza di link negli ambienti social per settore:

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Per approfondimenti ecco l’Infografica SocialMediAbility delle Aziende Italiane – Osservatorio Social Media IULM:

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