Come possono evolversi le organizzazioni

Riprendo il tema affrontato nell’articolo “Cosa sono i Livelli di Consapevolezza tratti dalla Psicologia Integrale con un ulteriore approfondimento che riguarda i possibili livelli di evoluzione delle organizzazioni.

Per esplorare questo tema, un importante testo di riferimento Reinventing organizations. A Guide to creating Organizations Inspired by the Next Stage of Human Consciousness © 2014, by Frederic Laloux. Laloux nel suo libro cerca di rispondere alle seguenti domande:

  • Possiamo creare organizzazioni libere dalle patologie che fin troppo spesso si riscontrano nei luoghi di lavoro?
  • Libere dalla politica, dalla burocrazia e dai conflitti interni; libere dallo stress e dal burnout; libere dalla rassegnazione, dal risentimento e dall’apatia; libere da gente che chiacchiera al vertice mentre quelli di sotto sgobbano in silenzio?
  • È possibile reinventare le organizzazioni per progettare un nuovo modello che renda il lavoro produttivo, soddisfacente e ricco di significato?
  • Possiamo creare luoghi di lavoro – scuole, ospedali, aziende e organizzazioni non-profit – che siano ricche di anima e di sentimenti, in cui i talenti possano fiorire e le nostre vocazioni possano essere onorate?

Nella prima parte del libro, Laloux descrive come a suo avviso l’evoluzione umana proceda per gradi, per salti discreti, in corrispondenza dei quali ogni volta si sono prodotte delle profonde trasformazioni politiche, sociali, economiche, religiose, etc.. Ma – sottolinea Laloux – gli storici e i sociologi non hanno posto particolare attenzione al fatto che, parallelamente, profondi cambiamenti si sono verificati anche nei correlati modelli organizzativi. Questi ultimi non sono quindi che il riflesso, la proiezione esteriore del grado di maturità raggiunto dalla coscienza umana. Laloux con queste considerazioni si rifà ai risultati di una lunga ricerca nel campo dei modelli di sviluppo della coscienza svolta da storici, antropologi, filosofi, mistici, psicologi e neuroscienziati. 

Stadi evolutivi e livelli della coscienza

Le risposte che questi studiosi hanno cercato di dare alla domanda su come si sia sviluppata l’interiorità umana a partire dalle forme più primitive a quelle più complesse, riflettono i punti di vista e la specifica formazione degli indagatori[1]. Tra questi studi, particolarmente rilevanti ed influenti sono stati quelli svolti da Jean Gebser sulle strutture della coscienza umana. Il lavoro di Gebser ha infatti stimolato un gran numero di pensatori e studiosi fra cui spiccano nomi come Owen Barfield[2], esponente di rilievo dell’antroposofia nel mondo anglosassone, e Ken Wilber, uno dei fondatori del pensiero integrale. Ma sono soprattutto i lavori di Ken Wilber[3] e Jenny Wade[4] che, al di là delle reciproche critiche e differenze di terminologia, in modo complementare (enfasi sui bisogni per l’uno, sugli aspetti cognitivi per l’altro) sembrano convergere verso una visione dello sviluppo umano che Laloux infine utilizza come solido terreno su cui costruire la sua visione evolutiva delle organizzazioni.

Laloux associa, in modo curioso, a ciascuna fase o stadio evolutivo un colore dello spettro. Il primo stadio che si incontra è quello “Infrarosso” a sottolineare che nel periodo cui si riferisce – da 100.00 a 50.000 anni fa – non sono comparse in realtà delle vere e proprie organizzazioni. Siamo infatti nell’ambito di gruppi umani o bande che vagano alla ricerca di cibo con forme di collaborazione davvero elementari – non c’è divisione del lavoro, né gerarchia e nemmeno l’autorità degli anziani o la leadership di una guida. L’ego a questo stadio non è ancora nemmeno completamente formato.

Anche lo stadio “Magenta” – circa 50.000 – 15.000 anni fa – è da considerarsi come “pre-organizzativo”: la coscienza inizia ad emergere ma con forme “magiche”. L’individualità umana inizia in qualche modo a differenziarsi, ma tutto è antropocentrico e riferito al sé in modo, appunto, magico: le nuvole vengono verso di me; il cattivo tempo è la punizione divina per le mie azioni. Non c’è una comprensione della morte. Dal punto di vista cognitivo, non c’è alcuna forma di astrazione o razionalizzazione vera e propria, il mondo interiore è simile a quello dei bambini dai 3 ai 24 mesi di età.

Questi due stadi pre-organizzativi occupano da soli un considerevole arco temporale. Quelli che li seguono sono caratterizzati da una durata molto minore e si succedono sempre più rapidamente nel tempo – l’evoluzione di fatto sta accelerando per cui gli stadi più antichi possono coesistere accanto a quelli più recenti.

Il paradigma Rosso – Impulsivo

Con il paradigma “Rosso – Impulsivo” fanno la comparsa le prime organizzazioni vere e proprie. A questo stadio di sviluppo della coscienza, l’ego si è rafforzato al punto da schiudersi del tutto; il mondo magico della fase “Magenta” progressivamente svanisce e dalla sua dissoluzione emerge la morte nella sua terrorizzante realtà. Il mondo viene percepito come un luogo pericoloso in cui ogni giorno il soddisfacimento dei bisogni essenziali condiziona i rapporti umani: se sono più forte di te, tu devi soddisfare i miei bisogni; se tu sei più forte di me, mi sottometto sperando nella tua protezione. Da questa differenziazione inizia a svilupparsi una divisione del lavoro.

Da questo grado di consapevolezza derivano le corrispondenti organizzazioni ovvero le prime bande armate, le società tribali e i primi proto-imperi. La paura è un elemento caratteristico che unisce i componenti dell’organizzazione tra di loro. Un esercizio immediato ed efficace del potere consente a queste organizzazioni una estrema reattività che in genere è volta al conseguimento di obiettivi a brevissimo termine – la metafora che le descrive è infatti quella del branco di lupi. Esempi di forme odierne di questo antico stadio evolutivo sono le mafie, le organizzazioni criminali e le bande di strada, solo per citarne alcuni.

Il paradigma Ambra – Conformista

Con l’affermarsi del successivo paradigma “Ambra – Conformista”, si compie la transizione dalle società tribali verso nuove forme di civilizzazione caratterizzate da istituzioni statali, apparati amministrativi e da una ben integrata sfera religiosa. I progressi nel campo dell’agricoltura consentono di abbandonare il regime di pura sussistenza del paradigma “Rosso” e di sostenere il peso dei nuovi ceti sociali ovvero sacerdoti, guerrieri, artigiani e funzionari statali – il modello di riferimento è quello delle civiltà mesopotamiche del 4000 a.C.. Interiormente causa ed effetto iniziano ad essere ben compresi così come lo sviluppo temporale (passato, presente e futuro) necessario per gestire attività agricole pianificate su larga scala. Inizia la possibilità di percepire il proprio ruolo distinto da quello degli altri e di interiorizzare la propria posizione sociale, l’accettazione della comunità e l’insieme delle norme implicite ed esplicite.

L’impulsività del paradigma “Rosso” viene incanalata e sublimata da una complessa stratificazione sociale che definisce completamente il ruolo del singolo e, con esso, cosa è bene e cosa è male, ovvero le sanzioni in caso di violazioni dell’ordine costituito. Prendono così forma le due principali innovazioni di questa fase evolutiva: 

Processi stabili: facilmente trasmissibili, consentono di sviluppare prospettive di lungo termine. Il futuro diventa così la ripetizione meccanica del passato e i cambiamenti vengono visti con sospetto.

Gerarchia formalmente definita: consente di rendere le organizzazioni facilmente scalabili e di separare la pianificazione (al vertice della piramide) dall’esecuzione (alla base). I lavoratori appaiono in genere come risorse intercambiabili, necessitanti di guida dall’alto e sostanzialmente inaffidabili senza opportuni meccanismi di controllo

Organizzativamente, il paradigma Ambra genera divisioni e apre fossati tra i vari dipartimenti o gruppi – si è parte di un gruppo oppure non lo si è affatto, contrapposizione tra “noi” e “loro”. La cooperazione e la fiducia tra i vari silos funzionali avviene per mezzo di regole e procedure. La metafora che meglio descrive questo approccio è quella dell’esercito. Le organizzazioni Ambra spesso sopravvivono oggi nelle istituzioni governative, nella scuola pubblica, nell’esercito ed anche nelle chiese.

Il paradigma Arancione – Risultati

Con il paradigma “Arancione – Risultati”, l’interiorità umana raggiunge lo stadio del pensiero razionale e giunge ad una visione materialistica del mondo che viene percepito ora come un immenso orologio, una macchina complicata che può essere investigata e compresa soprattutto in funzione utilitaristica. Ed è proprio la macchina la metafora con cui si identifica questo paradigma. Di ciò che ci circonda è veramente importante la sola parte fattuale e tangibile – qualsiasi forma di spiritualità è di fatto declassata a fenomeno superstizioso appartenente al passato. Organizzativamente ciò si traduce nel superamento del puro schema di comando e controllo a favore di un più efficiente modello di previsione e controllo per ottenere “risultati” sempre migliori in termini di profitto, crescita, dominio dei mercati, acquisizioni societarie, etc.. Di fatto, la maggior parte delle aziende oggi opera a partire da questo stadio evolutivo o, meglio, l’80% delle aziende è Ambra oppure Arancio.

Le tre innovazioni principali portate da questo nuovo paradigma sono:

Innovazione:
non è più vista con sospetto, anzi rappresenta una opportunità per consolidare e migliorare le posizioni raggiunte. Le trasformazioni organizzative che essa induce nella struttura gerarchica piramidale tuttavia sono poco più che “fori verticali”: gruppi di progetto, team virtuali, iniziative cross-funzionali, esperti collocati in funzioni di staff

Responsabilità:
il nuovo modello di previsione e controllo sposta l’attenzione più sul cosa che sul come (leadership per obiettivi) lasciando maggiore spazio all’iniziativa e al talento personali sia per i manager che per i loro sottoposti. Accanto al bastone Ambra compare ora la carota sotto forma di bonus, score-cards, stock options, premi ed incentivi

Meritocrazia:
in linea di principio chiunque può compiere la scalata della piramide gerarchica fino ad occuparne il vertice. A questa possibilità si può ricondurre lo sviluppo di pratiche e processi fra i quali: sistemi di incentivazione, valutazione delle performance, gestione dei talenti, leadership training, etc. 

Non si può negare ciò che di positivo questo paradigma abbia portato nell’evoluzione umana. Le organizzazioni Arancioni hanno di fatto consentito ad una larga parte dell’umanità (quella occidentale ad onor del vero•) di affrontare e risolvere problemi come fame, malattie e il soddisfacimento dei bisogni umani primari. Nella società Arancione una verità può emergere senza dover per questo rischiare la vita indipendentemente dalla fede politica o religiosa o di classe come negli stadi evolutivi precedenti. All’interno delle organizzazioni questa libertà si traduce nella possibilità di esplicare le proprie energie individuali in termini di creatività e capacità di innovazione

Ma non si possono neppure negare i lati oscuri del paradigma. Quando non è in grado di garantire la libertà di esprimere il proprio potenziale individuale, la macchina Arancione si trasforma spesso e facilmente in un posto di lavoro grigio e senz’anima. La tensione verso il costante miglioramento dei risultati si traduce in obiettivi di breve e brevissimo termine e in un continuo sfruttamento delle risorse naturali che si accompagna a scarsa o nessuna consapevolezza delle esternalità che l’azienda produce. E se non ci sono bisogni reali per sostenere una produzione in eterna crescita, se ne possono comunque creare di illusori secondo la regola che quanto più si ha tanto meglio è. Tutto viene ridotto al livello di questa visione e quindi anche il successo si misura esclusivamente in denaro e riguarda solo gli aspetti materiali esteriori. Tanto grandi i risultati esteriori – che non devono essere disconosciuti –, quanta la miseria umana vissuta interiormente sia da chi trova alla base, sia da chi si trova al vertice dell’organizzazione Arancione. Di fatto questa è capace di indirizzare solamente alcune delle molte dimensioni dell’umano, esclusivamente quelle esteriori e materiali. Per indirizzare le rimanenti, devono fare la loro comparsa altri paradigmi.

Il paradigma Verde – Pluralistico

Il paradigma “Verde – Pluralistico” è l’espressione del livello di evoluzione interiore che aspira a portare nel mondo armonia, tolleranza ed uguaglianza. La sua comparsa, che può essere fatta risalire ai primi movimenti cooperativi del 19° e 20° secolo, in parte avviene proprio come reazione agli aspetti problematici del paradigma Arancione: al posto della massimizzazione dei profitti a beneficio soprattutto degli investitori, compare la creazione di valore per tutti gli altri stakeholder; invece che visioni e decisioni top-down, compare l’ascolto delle varie prospettive e il consenso sulle scelte.
Il paradigma Verde è riconoscibile oggi soprattutto nelle correnti di pensiero alternativo – come ad esempio nel fenomeno dei “Creativi culturali” –, nel mondo non profit e in alcuni movimenti politici. Le principali innovazioni portate da questo stadio evolutivo sono:

Trasferimento di poteri/delega:
sebbene la struttura gerarchica e meritocratica Arancione continui a sussistere, il paradigma Verde cerca di condividere quanto più possibile le decisioni con la base della piramide o addirittura di delegare ad essa una parte di esse, anche di rilievo, senza approvazione del management. I collaboratori sono cioè invitati a trovare autonomamente soluzioni creative ai problemi quotidiani. I managers devono accettare di condividere e trasferire il loro potere: più che risolutori di problemi –come nel paradigma precedente–, sono i primi motivatori dei loro collaboratori che sono tenuti ad ascoltare e ad aiutare nel loro percorso di crescita. A volte vengono addirittura scelti dalla base della piramide che del loro operato fornisce in ogni caso un feedback a 360°

Cultura guidata dai valori e scopo ispirazionale:
una effettiva e profonda cultura è ciò che unisce sottilmente gli appartenenti all’organizzazione Verde. Essa rappresenta in modo vivente ciò che le organizzazioni Arancione sono altrimenti costrette a surrogare con voluminosi manuali e note operative. Le ricerche confermano che quando la leadership genuinamente condivide lo stesso patrimonio valoriale dei dipendenti, la performance complessiva è di gran lunga superiore rispetto a quella di analoghe organizzazioni. Lo “scopo ispirazionale”, quando presente, rappresenta proprio ciò che l’organizzazione Verde vuole effettivamente realizzare. E’ molto di più che non l’ordinario concetto di “vision” aziendale. Ad esempio, Southwest Airlines, non ritiene di doversi occupare semplicemente di “trasporti” ma di operare nell’ambito della “libertà” poiché consente a moltissime persone di andare dove desiderano grazie a tariffe accessibili

Prospettiva multi-stakeholder:
il paradigma Verde ritiene che fare business non implica avere degli obblighi solamente con gli investitori ma anche con altri soggetti come i dipendenti, i clienti, i fornitori, le comunità locali e, in senso più ampio, la società intera. Ciò può comportare nel breve periodo dei costi più alti, ma nel lungo periodo tutti ne trarranno dei benefici, investitori compresi. Compito del management è di trovare il giusto equilibrio nell’indirizzare le esigenze di tutti gli stakeholder. Non si tratta di una evoluzione del concetto di CSR (Corporate Social Responsability), un obbligo esterno resosi necessario per questioni d’immagine e in parte di normativa, quanto di una visione precisa che fa parte integrante del modo “Verde” di fare business

Queste innovazioni si riassumono nella metafora che meglio descrive l’importanza delle relazioni, del consenso e dell’armonia: la famiglia. Ma, come ben si sa, non tutte le famiglie sono felici e anche qui non mancano aspetti problematici e contraddittori. Perseguire sistematicamente l’ideale dell’uguaglianza diventa estremamente impegnativo in organizzazioni di una certa dimensione e spesso a prezzo di lunghe situazioni di stallo.
Emerge una relazione ambigua con le regole e la gerarchia: appare evidente che le prime non possono essere eliminate di punto in bianco, mentre la seconda spesso riaffiora nelle sue forme peggiori proprio nelle cooperative e nelle altre organizzazioni che fanno del rapporto tra uguali il motivo del loro esistere. Se il paradigma Verde vede chiaramente i limiti di quello Arancione, purtroppo non sembra aver formulato delle alternative pratiche e funzionali. 

Il prossimo stadio evolutivo, il paradigma Teal – Evolutivo

Ma il vero oggetto di studio del libro “Reinventing organizations”, di cui occupa tutta la sua seconda parte, è costituito dal prossimo stadio dell’evoluzione umana, il paradigma “Teal – Evolutivo”. Laloux esamina una dozzina circa di imprese “pioniere”, appartenenti a vari settori produttivi, manifatturiero, energetico, dell’assistenza, dell’insegnamento, sia profit che non-profit con dimensioni da 100 componenti (il limite inferiore preso per lo studio) fino a oltre 40.000 dipendenti dislocati in varie aree geografiche. Alcune aziende sono piuttosto recenti altre invece hanno più di 40 anni di attività alle spalle:

Da questa indagine emerge una profonda discontinuità rispetto agli stadi precedenti sia per quanto riguarda lo sviluppo interiore che gli aspetti organizzativi. Il passaggio allo stadio Teal – Evolutivo si verifica quando interiormente ci si disidentifica dal proprio ego. Se non si è più un tutt’uno con esso, sorge la possibilità di fare esperienze nuove, di percepire tutto un mondo altrimenti già incanalato in pensieri già pensati, in clichè indiscussi e in abitudini culturalmente preconfezionate. La capacità di ascolto che ne deriva, modifica radicalmente le nostre decisioni.
Nel paradigma Rosso, le decisioni sono buone quando portano soddisfazione al proprio ego; in quello Ambra si decide secondo posizione gerarchica e norme sociali consolidate; nel paradigma Arancione le decisioni sono guidate dalla ricerca del successo e dai risultati che se ne possono ricavare; in quello Verde dagli impatti sull’armonia complessiva del sistema. Sono tutte condizioni esterne. Nel paradigma Teal prendere una decisione implica un confronto interiore con ciò che essa comporta: questa decisione mi sembra buona? Sono veramente me stesso se la prendo? È in linea con ciò che voglio realizzare? Con essa posso dire di essere al servizio del mondo? 

Metafora Teal: l’organismo vivente

Rispondere a queste domande presuppone un lungo e costante lavoro interiore per far emergere la propria autentica individualità ed il progetto di vita ad essa correlato. In questo percorso le difficoltà che incontriamo possono essere viste sotto una luce nuova, quella per cui noi stessi possiamo aver contribuito al loro sorgere e che da esse possiamo apprendere come evolverci. 

La proiezione organizzativa del paradigma Teal è altrettanto disruptiva quanto la parte interiore, una vera e propria “Organizzazione 2.0” per quanto riguarda struttura, pratiche e finalità. 

Le tre principali innovazioni Teal verranno ora descritte una di seguito all’altra ma in realtà bisogna tener presente che ciascuna presuppone le altre e che tutte si sostengono vicendevolmente.

Auto-organizzazione:
con questa innovazione, arrischiata neppure dal paradigma Verde, si ha la completa scomparsa della gerarchia e del modello di comando e controllo top down. L’auto-organizzazione consiste in un vasto insieme di pratiche volte a far divenire esperienza – e responsabilità – individuale ciò che funzionalmente è compito delle tradizionali unità verticali quali risorse umane, controllo di gestione, amministrazione, etc…Auto-organizzazione significa che l’azienda è strutturata in team di tipicamente una dozzina di persone che si occupano a 360° di ciò che li riguarda. Possono infatti assumere nuove risorse se lo ritengono opportuno oppure possono decidere di effettuare degli investimenti previ accordi con gli altri team.

Non essendoci gerarchia, infatti, le decisioni vengono prese seguendo il processo del consiglio: qualsiasi membro dell’organizzazione può prendere una decisione ma solo dopo aver consultato tutti coloro che ne sono impattati. Il parere ricevuto tuttavia non è vincolante. Decisioni prese in tal modo possono riguardare qualsiasi aspetto dell’impresa compresi quelli per i quali è necessario avere informazioni finanziarie riservate – di fatto questa riservatezza non c’è e tutti possono avere accesso a dati aziendali sensibili. Poche e semplici regole trasformano quindi il tradizionale processo decisionale top-down in una miriade di piccole decisioni diffuse nell’intero sistema, per le quali l’accuratezza della percezione dell’ambiente interno ed esterno è molto elevata. Il risultato è una maggiore reattività e resilienza e minori rischi sistemici – anche se una singola decisione è errata, l’organizzazione si ritrae dall’ambito in cui si è avuto il fallimento rimettendosi quindi a “tastare” il terreno in un’altra direzione. La mancanza di un dipartimento delle risorse umane comporta la creazione di specifiche pratiche e processi per gestire e ricomporre i conflitti tra le persone.

Queste pratiche rientrano in ciò che la Wholeness mette in campo per lavorare costantemente e con un certo ritmo intorno allo sviluppo individuale. Per quanto attiene i processi retributivi, l’uso degli incentivi – gratifiche, premi, bonus, stock option, etc. – è in generale limitato o assente: si ritiene infatti che favorire la competizione o la ricerca di migliori condizioni economiche rappresenti una deriva materialistica rispetto al perseguimento del proposito evolutivo aziendale e provochi delle distorsioni egoistiche nei comportamenti. Gli strumenti compensativi tipici del mondo Arancione lasciano così il posto a meccanismi diversi fra i quali quello più interessante consente a ciascun lavoratore di fissare la propria retribuzione con una dinamica simile a quella del processo del consiglio: il lavoratore fissa la retribuzione che ritiene più opportuna per se stesso e poi lascia ai colleghi (tipicamente appartenenti ad un gruppo appositamente creato) di innalzarla o abbassarla tramite il loro “consiglio”. Quest’ultimo può essere seguito o meno dal collaboratore ma la decisione verrà resa in ogni caso pubblica

Wholeness:
Essenziali, per il buon funzionamento di una organizzazione Teal, sono le pratiche per lo sviluppo individuale legate alla Wholeness. Una fonte di conoscenza che tutti utilizziamo ma di cui spesso non riconosciamo il valore gnoseologico è l’intuizione. Essa sembra portare spesso delle risposte maggiormente in sintonia con la realtà che ci attornia che tipicamente è complessa, non lineare, paradossale e contraddittoria. L’intuizione è come un muscolo, va esercitata affinché possa essere più efficace e presente interiormente. Da qui l’importanza nell’approccio Teal a pratiche come la meditazione, lo yoga, le arti marziali o il semplice contatto con la natura. Da questa apertura verso un mondo trascendente deriva un profondo senso di appartenenza ad una Wholeness cui si può rimanere connessi attraverso varie pratiche di meeting ed organizzative. Una di queste riguarda l’accoglimento dei nuovi arrivati in azienda. Non essendoci alcun ufficio delle risorse umane, ai neoassunti non viene assegnato alcuna posizione specifica – di fatto non esiste nulla di simile ad un organigramma in una organizzazione Teal. Chiunque può quindi assumere il ruolo che ritiene più opportuno purché i colleghi glielo riconoscano. Altrimenti deve cercarsi da fare qualcos’altro•Ciò porta ad avere ruoli estremamente fluidi la cui comparsa è frutto di un processo emergente. Spesso le pratiche legate alla Wholeness vengono raccolte e formalizzate in una vera e propria Costituzione cui poter far costante riferimento e per stimolare continue discussioni sui valori e sui principi su cui si regge l’organizzazione

Proposito evolutivo:
Come qualsiasi altro sistema vivente, ogni organizzazione co-evolve. Il suo carattere e le sue capacità emergono non appena si confronta con le possibilità. […] Questo sistema ha capacità e convinzioni che nessuno ha pianificato. Svolge delle attività con modalità che nessuno ha progettato. Ha relazioni che nessuno ha richiesto. Finché ci preoccupiamo di progetti e strutture, mettiamo a punto procedure e regole, insistiamo su conformità a norme e sul controllo, non riusciremo mai a creare un’organizzazione per mezzo di queste attività. Una organizzazione vuole essere. Le organizzazioni umane emergono da processi che possono essere compresi, ma non controllati“[5]. La citazione tratta dal profetico “A Simpler Way”, esemplifica ciò che caratterizza profondamente una organizzazione Teal: il proprio scopo evolutivo. Non si tratta dell’ordinaria “missione aziendale” che quando non è del tutto sconosciuta ai lavoratori, risulta comunque astratta ed ineffettiva dal punto di vista motivazionale.

Il comportamento collettivo delle organizzazioni pre-Teal è in genere dominato dalla paura e dalla necessità di sopravvivere ad un ambiente percepito come ostile, continuamente minacciato dalla concorrenza, dagli obiettivi, dalle quote di mercato, etc• Nel mondo Teal la paura lascia il posto ad una ricerca interiore, ad un percorso di crescita che mira a identificare il file rouge di ciò che individualmente ci si sente chiamati a fare e che collettivamente si esprime nel proposito evolutivo dell’azienda.

I fili dello sviluppo individuale si intrecciano con quelli dell’organizzazione, il perseguimento del proprio progetto di vita è indissolubilmente legato a ciò che l’impresa aspira a realizzare sulla scena del mondo. In pratica che cosa può significare tutto questo? Patagonia, una delle 12 imprese Teal studiate da Laloux, piuttosto che incoraggiare un consumo di risorse dannoso per l’ambiente, ha deciso di spingere sulla realizzazione di capi che durano più a lungo, di offrire dei servizi di riparazione, di riutilizzo (rivendendo i capi usati su eBay) e di riciclo. Ogni capo non venduto comporta una mancata crescita certa per l’azienda nel breve periodo e una dubbia fidelizzazione dei propri clienti nel medio periodo. Tuttavia l’azienda ha deciso, indipendentemente da budget e previsioni finanziarie, di essere fedele al proprio scopo evolutivo che si traduce nelle pratiche come quelle sopra descritte

Obiezioni e riserve

L’evoluzione dell’interiorità umana e delle forme organizzative quali Laloux ce la descrive, potrebbe risultare poco convincente per diverse ragioni. Presentare gli studi di psicologia evolutiva che ne sono alla base come evidenza scientifica consolidata e unanimemente accettata potrebbe suscitare la contrarietà di diversi specialisti in materia[6]. Oppure quest’ultimi potrebbero anche essere d’accordo sul carattere evolutivo dei comportamenti umani complessi e delle relative forme organizzative, tuttavia potrebbero non essere concordi sul come questi fenomeni siano interrelati e si siano prodotti. O ancora, si potrebbe dissentire sul fatto che tutte le società antiche si siano presentate nella forma Rossa o siano state necessariamente tutte violente e basate sulla paura. Pure il carattere ambiguamente darwinista di questa evoluzione potrebbe lasciare perplessi o il fatto che ciascuno stadio rappresenti sempre e comunque uno sviluppo ed una estensione del precedente – in questo senso ad esempio il paradigma verde appare più un ramo morto dell’evoluzione che non un anello di congiunzione.

Ad ogni modo Laloux è perfettamente consapevole che il suo modello evolutivo è solamente una astrazione da utilizzarsi per orientarsi nell’interpretazione delle realtà organizzative e non uno strumento riduzionistico delle medesime. Non ci sono peraltro organizzazioni “giuste” o “sbagliate”, ciascuna essendo la risposta appropriata alle condizioni del contesto in cui è apparsa – il “male” essendo semmai un organizzazione che persiste in un tempo che non è più il suo. E’ necessario poi tener presente che per gli individui non ha senso parlare di appartenenza ad alcuno stadio. Gli esseri umani sono troppo complessi per poterli semplicemente etichettare in qualche modo. Per le organizzazioni invece è vero nel senso che sono le pratiche e le modalità organizzative prevalenti a caratterizzare infine l’appartenenza di una organizzazione ad uno stadio piuttosto che ad un altro. Inoltre bisogna tener presente che soprattutto per realtà particolarmente grandi ed estese, non è escluso che ci possano essere enclavi di stadi avanzati anche in organizzazioni Arancione o addirittura Ambra. Addirittura Laloux postula la possibilità di modelli ibridi in cui alcuni dipartimenti possano divenire Teal mantenendo delle “interfacce Arancioni” per dialogare con il resto dell’organizzazione.

La mappa non è quindi il territorio. Tuttavia è indubbio che gli stadi evolutivi di Laloux forniscono una agevole classificazione delle realtà organizzative la cui efficacia è facilmente verificabile attraverso l’esperienza personale di ognuno di noi. Le organizzazioni Teal poi non sono un artificio accademico, esistono, sono dei fatti. Esse si collocano al vertice della catena evolutiva delle organizzazioni proprio perché Laloux ha studiato delle organizzazioni già esistenti, delle imprese pioniere le cui pratiche e processi hanno permesso di formalizzare l’approccio Teal. 

Quali relazioni con la Tripartizione?

Il paradigma Teal si rivela estremamente interessante sia per i molti punti di contatto già esistenti con la Tripartizione sociale, sia per gli sviluppi futuri che essa lascia presagire. In accordo con il disegno evolutivo delle organizzazioni, anche lo stadio Teal infatti non è nient’altro che una tappa di un percorso che porterà nuove forme organizzative nel prossimo futuro. Consideriamo il primo dei due aspetti.

Approccio sistemico e qualitativo alla realtà sociale

L’organismo sociale è assolutamente una entità vivente sia per la Tripartizione che per il paradigma Teal. Entrambe lo approcciano con un pensiero che oggi caratterizziamo come olistico, sistemico o complesso e che si manifesta molto spesso con pratiche e strutture che appaiono del tutto lontane dalla realtà se non proprio assurde e utopistiche per l’ordinario pensiero razional-quantitativo e riduzionista. E in effetti nell’approccio Teal ci sono molte innovazioni organizzative che, se non sapessimo per certo funzionare in aziende già esistenti e di grandi dimensioni, difficilmente ne ammetteremmo la validità in linea di principio per non parlare della loro realizzabilità. Processi Teal come quello del consiglio e dell’accoglimento o la pratica con cui i lavoratori stabiliscono la propria retribuzione in autonomia – solo per citarne alcuni –, generano comportamenti emergenti che si sviluppano assolutamente secondo le dinamiche del vivente. 

Tuttavia sarebbe una forzatura affermare che la Tripartizione sociale in ambito aziendale porti necessariamente all’auto-organizzazione e all’abolizione della gerarchia. Il paradigma Teal non è altro che l’istanza specifica di una intuizione sociale che si è plasmata in conformità alle contingenze attuali. In ambito sociale le “leggi del sistema” non sono astratte ed ad esso intrinseche per cui si tratta solo di “scoprirle” una volta per tutte con un approccio razionale fatto di modelli matematici ed assunzioni riduzionistiche. La realtà sociale va intuita e su questa intuizione possono poi prendere forma le pratiche e i processi che una sana “arte organizzativa” saprà piantare efficacemente nella realtà. 

Remunerazione dei collaboratori

Come si è visto, le pratiche Teal decisamente più interessanti, prevedono che ciascuno fissi da sé la propria remunerazione utilizzando un processo che ricalca quello del consiglio. L’obiettivo finale non è la creazione di una struttura in cui ciascuno viene retribuito allo stesso modo ma che si possano creare le condizioni affinché ciascuno possa esprimere i propri bisogni che verranno soddisfatti tenendo conto di quanto l’azienda complessivamente produce e in accordo con il perseguimento dello scopo aziendale. 

Sebbene nella Tripartizione sociale non ci siano indicazioni sulla necessità di una abolizione della gerarchia, indubbiamente la mancanza di essa aiuta ad evitare il fenomeno per cui i lavoratori si trovino ad essere letteralmente obbligati a vendere il proprio prodotto all’imprenditore a prezzi non di mercato.

L’organizzazione deve avere una propria missione

Senza una missione, una organizzazione è un semplice insieme di persone e malgrado i più diversi espedienti economico/motivazionali, non riuscirà mai a generare l’autentica motivazione interiore con la quale il singolo è capace di donare alla comunità cui appartiene abnegazione e dedizione continua. Il proposito evolutivo Teal non nasce come slogan top down ma come somma dei confronti che ciascun individuo compie tra progetto di vita e proposito aziendale attraverso le pratiche della Wholeness. Da questa continua comparazione emerge un individuo per il quale l’ambito privato e quello lavorativo non sono separati. Sono ambiti diversi in cui si esprimono pienamente gli stessi talenti e le medesime capacità individuali. L’impresa consegue il proprio scopo evolutivo perché così vogliono coloro che vi appartengono.

Il profitto non è lo scopo principale dell’azienda

Il profitto non è più una necessità imperiosa, il fattore chiave attorno al quale deve girare tutta l’azienda. Essenziale invece è che l’impresa riesca ad incarnare il proprio proposito evolutivo, la propria profonda missione e allora anche il profitto seguirà come risultato. In ogni situazione la domanda cui si cerca di rispondere non è Quanto ci costerà? ma Cosa è bene che sia fatto in questo caso? Solo dopo si cercano le vie per indirizzare il tema in un modo finanziariamente sostenibile. 

Il paradigma Teal riprende quello Verde con la sua attenzione per tutti gli stakeholders facendosi carico delle esternalità che l’azienda produce. Non si tratta semplicemente di produrre al prezzo più basso ma di essere consapevoli di cosa ci sia in quel prezzo e quanto in realtà un prodotto costi (consapevolezza ed indirizzamento delle esternalità, vita dignitosa per collaboratori e fornitori, etc..). In queste condizioni, il concetto di giusto prezzo della Tripartizione potrebbe essere un obiettivo a portata di mano. 

Separazione tra sfera economica, giuridica e culturale

Sebbene il paradigma Teal non cerchi di realizzare esplicitamente una separazione all’interno dell’azienda degli aspetti economici, giuridici e culturali, tuttavia le sue pratiche e strutture facilitano la possibilità che questo accada o che si presenti almeno in embrione. Consideriamo ad esempio il ruolo che il CEO viene ad assumere in una organizzazione Teal. In essa il CEO non rappresenta il vertice decisionale perché, come abbiamo visto, con il processo del consiglio di fatto tutti diventano dei decision maker. Mantiene certamente il ruolo che le istituzioni esterne e le normative prevedono egli abbia, ma rispetto ai suoi omologhi “tradizionali”, da una parte dispone di molto più tempo libero, dall’altra estende l’azione del proprio ruolo ad ambiti normalmente non presidiati. Nel libro “The Living Organization”[7], Norman Wolfe distingue tre aspetti lavorativi particolarmente significativi: l’Attività, la Relazione e il Contesto. L’Attività si riferisce all’energia dell’azione, a cosa deve essere fatto e come, al problem solvinge al prendere decisioni. Nelle organizzazioni meccanicistiche quest’area è quella che assorbe maggiormente i CEO. La Relazionerappresenta tutto ciò che riguarda le relazioni tra le persone, ciò che viene detto e come viene detto, come ci si relaziona gli uni agli altri. Anche qui i CEO tradizionali in genere considerano questo aspetto come un male necessario sul quale non vale la pena investire: gerarchia e risorse umane esistono per questo. Il Contesto invece rappresenta la connessione ad uno scopo ad un tutto più vasto cui siamo legati. In genere i CEO tradizionali di quest’ultimo aspetto non sospettano neppure l’esistenza. Per un CEO Teal invece vale esattamente l’opposto. Il suo ruolo richiede primariamente di presidiare il Contesto, di assicurare che le tre innovazioni Teal – auto-organizzazione, Wholeness e proposito evolutivo –, non vengano minacciate da regressioni meccanicistiche. Presidia altresì la Relazione come elemento essenziale per supportare quanto richiede il Contesto. La parte di Attività sebbene esista e sia comunque importante, in fin dei conti è marginale – di fatto è distribuita in tutta l’azienda. L’azione sottile che il presidio di Contesto e Relazione richiede, si traduce in un riferimento culturale per l’intera azienda: il CEO di una organizzazione Teal, che spesso ne è anche il fondatore, incarna quindi il proposito evolutivo stesso dell’organizzazione.

Le pratiche e i processi con cui i collaboratori determinano la propria retribuzione possono invece costituire un buon esempio dell’emergenza della sfera del diritto all’interno delle organizzazioni Teal. Nelle accezioni migliori e più evolute di queste pratiche, fissare la retribuzione rappresenta per ciascuno una occasione per conoscere reciprocamente i bisogni degli altri e stringere accordi in modo paritetico per disporre delle risorse di cui l’azienda dispone. 

Per quanto riguarda la sfera economica, si è visto che il profitto è più un effetto collaterale del modo di fare business dell’azienda piuttosto che il suo obiettivo principale. La performance finanziaria non è essenziale, viene dopo il perseguimento del proposito evolutivo e dopo la giusta retribuzione dei collaboratori e dei fornitori. Assume piuttosto i connotati di una sostenibilità economica come conseguenza di un giusto prezzo che tiene conto – o almeno ne è consapevole – di tutte le esternalità che l’azienda produce. Jos de Blok, fondatore di Burtzoorg, una delle aziende Teal oggetto dello studio di Laloux, ha raccontato in un Ted Talk di come sia stata proprio la necessità di promuovere un diverso approccio nell’assistenza infermieristica di quartiere in Olanda, a spingerlo a porre l’aspetto economico su di un piano subordinato e a ricercare un modello organizzativo e d’impresa che rispettasse questo assunto di base. 

Forma giuridica dell’impresa e proprietà

L’obiettivo primario di una azienda Teal consiste nella realizzazione di ciò che essa ha identificato come proprio scopo evolutivo. Massimizzazione del profitto, incremento delle quote di mercato, performance finanziaria, per quanto si è già detto, non sono obiettivi di per sé. Da questo punto di vista, le forme giuridiche d’impresa di cui oggi si dispone risultano problematiche in quanto ritagliate sulle esigenze delle sole C-corporation ovvero le usuali società per azioni il cui CEO per legge è tenuto a curare gli interessi degli azionisti ed ad assicurare loro il massimo del ritorno sugli investimenti. 

Per le aziende con una forte vocazione etica, il tema è di vecchia data ed è stato affrontato nel corso del tempo utilizzando gli strumenti giuridici di volta in volta disponibili con forme ed esiti diversi. Ad esempio, Wala, Neuguss, Software AG ed altre ancora implementano strutture societarie che mirano a fare in modo che la proprietà dell’azienda non interferisca con la propria missione o che ne possa compromettere le attività sociali e culturali. 

Le cosiddette B-corporation sembrano tuttavia coprire questo vuoto giuridico estendendo gli obblighi nei confronti degli investitori anche ad altri aspetti ambientali o sociali, pur rimanendo aziende profit a tutti gli effetti. Laloux sottolinea che pur non essendo tutte le organizzazioni da lui esaminate delle B-corporations, tuttavia questa forma giuridica comparsa con il paradigma Verde potrebbe essere un buon punto di partenza per consentire ad imprenditori illuminati di tentare ulteriori esperimenti.

Ancor più interessante appare ciò che già oggi si riesce ad intravedere di una prossima evoluzione delle organizzazioni Teal. Queste ultime, in accordo con l’impianto evolutivo sopra descritto, non sono infatti altro che la tappa di un percorso che continuerà con una prossima fase che, in merito al concetto di proprietà, sembra preannunciare ulteriori innovazioni. Laloux ne parla in questi termini:

La nozione di proprietà, uno dei pilastri delle società Rosso, Ambra, Arancione e Verde, potrebbe essere riesaminata nella società Teal. In un mondo economico a circuito chiuso, ha ancora senso per un individuo o un’organizzazione di possedere terra, materie prime, o anche qualcosa di così banale come un macchinario? Un macchinario è fatto di tutti i tipi di materie prime pregiate che sono state estratte dalla terra ed elaborate con una buona dose di energia. Eppure, ancor più energia e ingegno umano sono stati necessari per plasmarle in un elemento produttivo qual è una apparecchiatura. Può una fabbrica semplicemente decidere di buttarla in una discarica o lasciarla marcire in qualche angolo polveroso quando non ne ha più bisogno? Può la fabbrica davvero pretendere di possedere la macchina? Io non sto suggerendo che torneremo ai giorni dei clan e delle tribù in cui i beni venivano gestiti in regime di proprietà comune. Nell’evoluzione, la risposta è raramente in un ritorno a formule del passato. Ma potremmo inventare qualche concetto che trascenda sia la proprietà collettiva che individuale. Forse sarà basata sul concetto di gestione responsabile[stewardship]. Una fabbrica può contare sui diritti esclusivi per l’uso di una macchina per il tempo in cui essa ne fa buon uso. Questo diritto viene fornito con il dovere di manutenere la macchina e, se essa non è più necessaria, per assicurarsi che venga trasferito, anche ad un certo costo, ad un altro custode che trovi per essa un uso ancora produttivo[8].

Quindi una proprietà a tempo dei mezzi di produzione, quasi questi fossero dei testimoni che passano di volta in volta nelle mani di chi è capace a gestirli e a renderli produttivi.

Ulteriori sviluppi

Nella terza e ultima parte del libro, Laloux fornisce indicazioni e condizioni per far partire da zero una impresa Teal o per trasformarne una pre-Teal già esistente. Soprattutto affronta il tema della transizione verso una società complessivamente Teal, di come essa potrebbe apparire e quali possibili scenari potrebbero caratterizzarne l’avvento. Della trasformazione del concetto di proprietà in stewardship si è già detto, ma non mancano riferimenti a trasformazioni del concetto di democrazia, della moneta – che potrebbe essere priva di interessi o di averne di negativi –, delle trasformazioni nel mondo del lavoro indotte dal progresso tecnologico ed altre ancora.

Ciò che non è citato nel libro ma che da un punto di vista della Tripartizione appare plausibile come evoluzione prossima, è legato ad una trasformazione dei rapporti tra consumatori e produttori. Se è vero che in un’economia Teal il profitto non è più l’elemento attorno al quale tutto gira e diventa essenziale ascoltare i bisogni delle persone per poter tarare su di essi i propositi evolutivi delle aziende, un ulteriore salto in avanti nella consapevolezza tra produttori, consumatori e coloro che si occupano della circolazione delle merci potrebbe preludere a ciò che nella Tripartizione è rappresentato dall’economia associativa.

Conclusioni

L’umanità del terzo millennio è chiamata ad affrontare sfide straordinarie quali il riscaldamento globale, la desertificazione, la deforestazione, l’acidificazione degli oceani, le migrazioni epocali, la sovrappopolazione ed altre ancora…l’effetto congiunto di queste minacce potrebbe mettere in serio pericolo la continuazione della civiltà umana sulla Terra nell’arco di poche decine di anni. Giustamente Einstein disse “non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”. Ed è tempo ormai che un numero sempre maggiore di persone compia interiormente quel progresso che le porti ad una diversa visione del mondo e che questa si proietti all’esterno in organizzazioni in grado di risolvere i grandi problemi dell’umanità. Bisogna fare presto, non si tratta più del fatto se vogliamo o meno una transizione Teal ma se questa avverrà in modo catastrofico o con una trasformazione graduale. Questa è per lo meno l’opinione di Laloux che in merito non fa alcuna previsione lasciando al tempo l’ultima parola. Ma un fatto concreto potrebbe dare speranza e indicare una via percorribile: Burtzoorg, una delle aziende Teal esaminate nel lavoro di Laloux è passata da 7 dipendenti nel 2007 a circa 9.000 nel 2016 trasformando radicalmente il concetto stesso di assistenza infermieristica domiciliare in Olanda. Oggi Burtzoorg controlla oltre il 65% del mercato olandese ed un intero settore produttivo è stato radicalmente trasformato e rivivificato. 

Che cosa non potrebbe quindi succedere se buona parte dei settori produttivi iniziasse ad avere ciascuno la propria Burtzoorg?

Fonti utilizzate in questo articolo:

Social Economy. L’economia che aumenta la produttivita’ attraverso la collaborazione

Siamo in crisi, giusto? Le HR (direzioni delle risorse umane aziendali) sono sempre più coinvolte pressanti le richieste di miglioramento dell’efficienza delle attività operative. per il recupero di questa efficienza le attività formative di addestramento (quelle erogate a pacchetto, tanto per capirci), sono sempre più inadeguate per far fronte a questa pressante richiesta.
imageL’innovazione necessaria, per le aziende che vogliono esserci ancora tra 4-5 anni, deve poter unire questi due fattori che suonano come emergenze apparentemente divaricate:

  • Apprendimento strategico (la c.d. learning organisation): rinnovamento della cultura, della governance e del management (spesso inadeguato)
  • Innovazione di processo: la produttività come strumento di cambiamento e trasformazione aziendale

La sfida per le aziende, non solo per la gestione delle risorse umane, è quella di rispondere in modo convergente a queste due emergenze: la sfida è unire l’apprendimento all’innovazione! Lo sviluppo delle performance aziendali sono senza dubbio oggetto di attività riassumibili nel Corporate Coaching (che in questo articolo non approfondisco), ma la la direzione di questa convergenza non può che considerare le HR 2.0 nel Social Business e in tutto quello che ormai possiamo includere nella Social Economy.
Nel tema dell’HR 2.0, in questo articolo riporto a sostegno delle tesi sopra riportate, alcuni grafici di un’analisi svolta dalla McKinsey. 
Questi grafici si rifanno al mercato mondiale, ma tengono conto dei trend più rilevanti… che segnano una distanza tra queste tendenze ed il nostro asfittico mercato domestico. La  Social Economy, ovvero, il mondo che sta dentro e (soprattutto) fuori dell’azienda che si avvale delle Social Technologies (traduzione: tecnologie che incrementano la collaborazione e che utilizzano i Social Network, blog, wiki, document sharing, ecc.) «aumenterebbe la produttività dei lavoratori della conoscenza altamente qualificati, decisivi per i risultati e la crescita nel XXI secolo, dal 20 al 25 per cento». Perché non vengono adottate in massa? La risposta la sapete già, perché la mentalità, la cultura e le abitudini manageriali (controllo+compiti) mutano molto più lentamente delle tecnologie e della loro relativa adozione da parte degli utenti/consumer.
Ecco un primo grafico che dimostra questo assunto su scala mondiale, in Italia il grafico dei dipendenti e collaboratori aziendali (employees) andrebbe ulteriormente ridimensionato:

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Le 10 Social Technologies che aggiungono valore ali processi aziendali

Sottolineo le aree funzionali aziendali che sono interessate dalle Social Technologies oltre al marketing (è scontato che quest’area si coinvolta nei processi relazionali dei socia network …):

  • Sviluppo prodotti: co-creazione di prodotti ed i suggerimenti e indicazioni che provengono dal customer insights (vedi anche un mio articolo: Dalla Brand Reputation al Customer Insight. Approcci che si evolvono nei tempi delle crisi)
  • Produzione e distribuzione: una leva per la previsione (tendenze9 e per il monitoraggio (successo di un prodotto e reputation)
  • Servizi di supporto al cliente (customer service): le aziende che si avvalgono ancora solo del telefono o delle email potrebbero tenere in considerazione il fatto che quando le Social Technologies non sono adeguatamente sviluppate dall’azienda … nel migliore dei casi sono i clienti che si auto-organizzano dei forum per rispondere alle richieste degli utenti

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L’impatto della Social Economy con la produttività aziendale

In uno scenario in cui il 50-60% delle aziende nostrane hanno policy restrittive nell’utilizzo dei Social Network in azienda, riporto anche un grafico che mette in evidenza (invece), l’impatto sulla produttività, ottimizzando efficienza (tempo) ed efficacia (risultati):

  • Email aziendali
    • Il Social network interno consente una maggiore produttività (del 25-30%) rispetto alla lettura e risposta nelle email aziendali (dopo la terza interazione tra email con più di due persone è difficile venirne a capo…)
  • Ricerca e raccolta delle informazioni (+30-35%). Ho visto aziende che ancora oggi raccolgono le informazioni degli utenti in cartelle/utenti condivise, come si poteva fare già 10-12 anni fa.
  • Comunicazione e collaborazione interna. La produttività qui si incrementa del 25-30%

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Con questo grafico si evidenzia la correlazione che c’è tra il livello dell’interazione tra gli utenti aziendali e l’incremento dei livelli di performance.

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Anche qui sotto riporto un grafico che riporta il diverso grado di adozione tra le aziende delle Social Technologies, all’interno e/o all’esterno dell’azienda (aspetto, quest’ultimo, che assorbe la quasi totale attenzione degli addetti ai lavori …)

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Fonti immagini e grafici:
– MCKinsey
– Marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com