Sviluppare innovazione e’ generare creativita’ imprenditoriale

imageMai come in questi ultimi anni occorre coniugare l’imprenditorialità con l’innovazione. Un imprenditore creativo deve saper affiancare alla sia pur utile innovazione di prodotto alla sempre più necessaria innovazione di processo. Questo blog ha coniugato innovazione con tecnologia, con le soluzioni abilitate dalla tecnologia (social business) enfatizzando la trasversalità della comunicazione generata dalle reti informali
Occorre fare il punto, in un paese come il nostro che genera molta delocalizzazione produttiva e poco sviluppo di occupazione creativa, di alto livello, di terziario avanzato (che impatti e supporti il personale all’interno delle imprese…). Occorre fare il punto su che cosa può sviluppare innovazione e generare creatività imprenditoriale: il titolo recita un rapporto causale: sviluppare innovazione è generare creatività imprenditoriale!

Team interfunzionali

Tolleranza e trasparenza non bastano: occorre organizzare l’attività della line funzionale in team interfunzionali di sviluppo del problem solving e dell’innovazione di processo. In particolare occorre:

  • Tollerare e stimolare la nascita di nuove idee.
  • Accettare la diversità, il non convenzionale, l’eccentricità.
  • Valorizzare il pensiero creativo, il problem solving creativo, che intercetti i bisogni latenti dei clienti (il consumer insights), non solo le loro richieste esplicite
  • Supportare la multidisciplinarità e l’interdisciplinarità.
  • Valorizzare le risorse intangibili, quindi… come da immagine sotto riportata:

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Vision imprenditoriale

Quali sono le risorse e gli strumenti per generare il pensiero creativo? La vision imprenditoriale deve sapere (se vuole può…) trasmettere gli obiettivi come sfide allo status quo del mercato (e della comunicazione interna)

  • Favorire un approccio di medio-lungo periodo, rispetto a una visione di breve periodo. La storia è fatta di futuro positivo e non solo di passato glorioso.
  • imageStimolare l’apprendimento generativo (non solo proattivo), autonomo.
  • Proporre strumenti per elaborare nuove idee e sviluppare il pensiero creativo.
  • Enfatizzare e valorizzare la soluzione dei problemi.

La cultura dell’impresa

La cultura dell’impresa permea tutto l’involucro dei valori, delle credenze e delle motivazioni individuali dei collaboratori. Se questa cultura non è aperta (open), non riesce a cogliere i segnali, i feedback, i suggerimenti dei clienti (interni ed esterni)

  • Favorire una cultura centrata sugli obiettivi, rispetto alla definizione formale dei compiti.
    • Favorire, poi, una cultura incentrata sulle persone.. e sulle loro motivazioni…
    • Favorire la partecipazione e la motivazione anziché l’obbedienza e la gerarchia.
  • Preferire l’informalità alla formalità. L’informalità è reale, la comunicazione reale è fatta per oltre l’80% dalla comunicazione non verbale e paraverbale….
  • Mantenere sempre aperti i canali di comunicazione.
  • Sviluppare relazioni tra l’organizzazione e l’ambiente esterno (fonte potenziale di idee).
  • Costruire un ethos per il miglioramento continuo (fare sempre meglio ogni giorno).

Governance, la gestione della gestione

Una nuova governace che valorizzi le reti informali, le relazioni piuttosto che le posizioni lavorative

  • Sottolineare l’importanza della conoscenza ai fini della creatività.
  • Valutare risultati e idee, non le persone, i ruoli, le posizioni organizzative.
  • Utilizzare la delega come strumento di crescita, responsabilità e autorealizzazione.
  • imageFavorire un orientamento al rischio e sviluppare la tolleranza per gli errori.
  • Creare un clima di libertà in cui poter discutere idee e proposte.
  • Valutare positivamente, i fallimenti e gli insuccessi, considerandoli come parte della storia professionale degli innovatori.
  • Favorire lo sviluppo di reti di relazioni sociali, in grado di incoraggiare confronto tra personalità diverse ed eterogenee.

Ostacoli allo sviluppo dell’innovazione

Che cosa frena, invece l’innovazione in un’impresa?

  • La mancanza di riconoscimento (il fatto di sapere che lo sforzo non viene apprezzato) dell’attività svolta. Pensare che lo stipendio realizzi il personale è quanto di più sbagliato ci possa essere in termini di convinzioni. L’alienazione dal prodotto del lavoro (soddisfazione per ciò che si fa), genera:
    • lo stress e la pressione del tempo sui compiti (accumulo di arretrati…)
    • la routine, le abitudini che richiedono sempre forti pressioni esterne in assenza di motivazione intrinseca
    • la scarsa motivazione
    • la tendenza a utilizzare schemi diffusi senza capire se le metodologie già utilizzate sono calzanti anche per il nuovo contesto.
  • imageIl middle management è falcidiato anche dalla riduzione dei costi. Il controllo dell’assegnazione dei compiti può essere risparmiato quando c’è la fiducia… L’eccesso di gerarchia e la distanza dei vertici è un ostacolo all’innovazione, quindi.
  • Il sospetto che ci sia troppa iniziativa è il virus del management invecchiato sulla memoria di un tempo che fu… La tendenziale intolleranza per le persone indipendenti e autonome, che con passione seguono il lavoro, ma sono poco inclini al rispetto delle regole; l’organizzazione di breve periodo, in cui si privilegiano le soluzioni corte; l’incentivazione degli schemi diffusi, anziché lo stimolo a provare nuove soluzioni;
  • La burocrazia genera regole che solo lei poi sa governare… L’eccesso di burocrazia: la formalizzazione che viene applicata ai compiti con effetti negativi sulla lunghezza del processo; gli incentivi inadeguati;
  • L’esistente è un equilibrio che viene dal passato. L’eccesso di attenzione sui processi e meccanismi esistenti, rendendo difficile, da parte delle persone, concentrarsi sulle opportunità d’innovazione; il senso d’instabilità e la tendenza a giudicare eccessivamente le persone (che introduce la paura di sbagliare e l’insicurezza); la scarsa capacità di motivare;
  • L’arretratezza consiste nel perdere il passo con ciò che accade all’interno dell’impresa… L’eccesso di rigidità, presunzione o permalosità della leadership che può ostacolare l’innovazione.

Gli altri elementi-killer della creatività sono: lo stress e la pressione temporale, la routine, la scarsa motivazione, il fatto di sapere che lo sforzo non viene apprezzato, la tendenza a utilizzare schemi diffusi senza capire se le metodologie già utilizzate sono calzanti anche per il nuovo contesto, la famigerata affermazione «si è fatto sempre così!».

Un peculiare e pressante elemento-killer è il clima interno nelle aziende e le conseguenti paure: di sbagliare, di essere criticati e di essere giudicati. Se le persone lavorano in un’azienda in cui l’errore, anche se non giustificabile, è valutato in modo equo, è tanto più facile che possano provare a mettersi in gioco, a inserire elementi propri e individuali nelle cose che fanno (a metterci del proprio).

L’occupazione viene dall’innovazione…

Sono arrivato fino a qui con l’idea che è proprio dall’innovazione imprenditoriale, sociale, organizzativa che possiamo venirne a capo della disoccupazione... La tecnologia genera più lavoro di quello che distrugge ma da sola non basta, non è mai bastata!

Non siamo preparati al nuovo, non siamo preparati al cambiamento, alla trasformazione che coinvolgerà tutte le aziende e tutte le (vecchie) postazioni lavorative. E’ solo questione di tempo…

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Credits:
Enzo Risso da Boundaryless Learning – 2013
– Immagini: Consorzio Qualità – Milano 2013; Ilsole24ore.com; Datamanager.it; Michaelhyatt.com, Innovationmanagement.se

Condividere la pratica nelle organizzazioni. Suggerimenti per la costituzione di una community che realizzi l’Open Innovation

imageNelle aziende, da quando sono nate, le persone condividono le pratiche, le esperienze. L’organizzazione industriale e tayloristica non hanno cancellato il passaggio dell’esperienza (come nella bottega artigiana delle origini). Certo la prassi gerarchica del comando-controllo non legittima, non ufficializza questa condivisione… che in ogni caso avviene (a loro insaputa, per dire una cosa di questi tempi). La gelosia professionale e la competitività interna non hanno mai escluso delle nicchie di condivisione e di esplorazione dell’esperienza: del mestiere.

Queste comunità di esperienze vanno sotto il nome di CdP – Comunità di Pratica (ma anche di condivisione, di collaborazione…).
Negli ultimi anni con l’avanzare dei Social Media, queste comunità di esperienze non ha i confini dell’azienda: ha i confini dell’esperienza d’uso del prodotto (vedi anche: La social attenzione e la motivazione alla condivisone in rete… con i Social Brand). In questo articolo voglio però dare alcuni suggerimenti per il riconoscimento e l’ufficializzazione di queste buone pratiche di condividere la pratica, in una prospettiva aperta (con il coinvolgimento degli stakeholder), per la realizzazione di attività collaborative di innovazione di processo… dell’Open Innovation, quindi.

Riporto qui di seguito alcuni suggerimenti sul come riconoscerle, costruirle o strutturarle. Senza la presenza di queste community interne non si possono attuare strategie sui Social Media coerenti e di ampio respiro. Lo dico quasi sempre in questo blog, ma vale la pena di ribadirlo anche stavolta.

La condivisione della conoscenza e dell’esperienza

In questo blog si convalida la visione che i social media traggono origine e linfa dalla (innata) necessità di apprendere socialmente: l’apprendimento è sociale. Non occorre essere nativi digitali per considerare questa realtà.

Lo sviluppo positivo di una società in assenza di pensiero critico e indipendente di individui propositivi è inconcepibile come anche lo sviluppo personale di un individuo senza lo stimolo derivante dalla comunità
(“The positive development of a society in the absence of creative, independently thinking, critical individuals is an inconceivable as the development of an individual in the absence of the stimulus of the community”). A. Einstein

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La conoscenza non è un’entità fissa, bensì un’esperienza che si compie e si completa in forma di processo, nel tempo e nello spazio. Non si tratta cioè di un asettico e statico insieme di informazioni. La conoscenza è esplicita e anche tacita (quella tacita è una sfida alla formazione ufficiale …). 

Innanzitutto definiamo che cosa abilita l’apprendimento sociale ma che non è una Comunità di Pratica:

  • Dipartimenti formali, Team, Team di progetto, Comunità di interesse, Reti informali

    Cosa abilita l’apprendimento sociale  come Comunità di Pratica:

    • Le Community che fanno della conoscenza una parte integrante della loro attività,
    • Le realtà di apprendimento che in modalità esplicita, strutturata  e riconosciuta:
      • sviluppano conoscenza sulla base dell’esperienza (best practices), dei partecipanti alla comunità, i quali vogliono condividerla con ogni altro membro della comunità e crescere, migliorare facendo tesoro della ricchezza dei tanti che vi contribuiscono.
      • condividono la pratica delle esperienze, della Passione, dell’Impegno, dell’Identificazione con il gruppo .. il quale si Identifica con la sua pratica

     

    I ruoli necessari per avviare una Community aziendale

    Community manager

  • E’ il coordinatore della Community
  • Dà all’azienda tutti i suggerimenti qualitativi sui ricevuti feedback dagli utenti (customer insights)
  • Svolge attività di presidio e controllo delle pubblicazioni e di Content Management (soprattutto per la documentazione di supporto)
  • Coordina una o più aree di discussione.
    Organizza riunioni, comunica con i membri, modera le discussioni,
  • Supporta i progetti della Comunità di Pratica, apre e rafforza relazioni con i terzi sugli argomenti di sua competenza
  • Facilitatore

  • Aiuta l’interazione del gruppo durante gli incontri in presenza
  • Esperti

  • Offrono aree specifiche di esperienza necessarie durante alcuni incontri su invito delle Community.
  • Possono essere interni ed esterni all’organizzazione Insights® Italia
  • Portatori di interessi

  • Soggetti che hanno interesse al lavoro della CdP, ne vengono influenzati e possono a loro volta influenzarli
  • Partecipanti (stakeholder)

  • Senza il loro coinvolgimento non si fa nulla.
  • Popolano di iniziative e contenuti la comunità, pongono domande/problemi, condividono conoscenza, prospettano soluzioni, si confrontano attivamente;
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    Una mini guida per avviare le Community aziendali, per la condivisione della pratica e dell’esperienza

  • imageOccorre coerenza nelle strategie di business della Community (governance e policy da Open Innovation non guastano… magari).
    Per essere veramente efficace una community deve avere un impatto sulle attività di “core business” sia dell’azienda che dei componenti della Community
  • Commitment, impegno da parte dei dirigenti aziendali.
    Avere chiare aspettative (da parte del management, dei responsabili di funzione, ecc.) e comunicarle al gruppo della Comunità di Pratica.
    Occorre trovare i ruoli giusti per le persone giuste
  • Gli obiettivi di business devono essere allineati e corrispondenti agli intenti della community.
    Troppo spesso, i programmi per le community sono declinati verso le priorità di business, abbandonando la promessa di valore fatta a ciascun utente. Ogni comunità deve servire i suoi clienti-soci – senza membri non c’è community – e non il contrario.
    Il punto di partenza è l’abilità di riconoscere gli altri come eventuali partner per dare forma alla condivisione delle Best Practices aziendali.
    Le persone possono riconoscersi l’un l’altra in base alla propria esperienza e al fatto che c’è un interesse reciproco per l’esperienza dell’altro:
    “Io sono sinceramente interessato a te, io sono realmente interessato alla tua esperienza”
    Il punto centrale delle comunità risiede nella pratica e nel riconoscimento nel saper riconoscere l’altro
  • imageEngagement: costante e coerente spinta interna.
    Qualsiasi progetto di Comunità di Pratica ha bisogno di fiducia.
    Occorre che Insights Discovery® creda nel progetto della community e abbracci la rete e il posizionamento online.
    L’assenza di un leadership coraggiosa può minare alla base la creazione di una community di impatto.
  • Buono quanto basta, fare solo le cose che servono: costruzione di “tende per accampamenti” al posto di musei informatici.
    Il successo di una Comunità di Pratica si ottiene mediante una costante innovazione attraverso cicli guidati dal feedback, e quindi un’ottica di dialogo costante.
    La pianificazione per la community dovrebbe concentrarsi sul breve periodo, prevedendo la possibilità di virare politiche ed obiettivi.
  • Piano editoriale: aggiornamenti costanti nelle informazioni.
    Il ciclo di innovazione richiede anche un flusso costante di nuove informazioni nella community.
    Occorre fare un piano editoriale dei contenuti di supporto, coinvolgente e aggiornato: questo approccio è la premessa per la costruzione di una community di successo.
  • Community Management. Occorre una buona capacità di gestione della comunità.
    A ciascuno il suo mestiere. La gestione della community è un ruolo complesso, e implica personale motivato e preparato, formato per il community management, il coordinamento.
    Solo dopo un certo periodo (almeno tre-sei mesi), è possibile aspettarsi una certa autonomia da parte dei componenti della Comunità di Pratica aziendale.

     

    Le attività principali del Community Manager e del facilitatore

  • Ecco una rappresentazione grafica del processo che dovrebbe alimentare le attività principali del Community Manager e del facilitatore.

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