Il giudizio e conflitto tra le percezioni di realtà e la ricerca di verità.

La scala dell’inferenza: un modello per comprendere i conflitti tra persone, nei gruppi e trai gruppi

La Scala dell’inferenza (Ladder of Inference), ideata da Chris Argyris, figura di spicco nel campo dell’apprendimento organizzativo, descrive le fasi del nostro processo di ragionamento. Questa “scala” rappresenta il percorso mentale che ci porta dai fatti alle conclusioni.
È importante essere consapevoli del punto in cui ci troviamo su questa scala, evitando di salire troppo in fretta e formulare giudizi affrettati. Questo modello si rivela particolarmente utile nella risoluzione dei conflitti e nel processo decisionale di gruppo, poiché aiuta a fondare le azioni su osservazioni e valutazioni ben ponderate. Ecco una mia prima riformulazione della Scala dell’inferenza:

  1. Fatti oggettivi (Fatto): Fatti oggettivi, o realtà
    Fatti selezionati: Informazioni selezionate come sottoinsieme di fatti oggettivi
  2. Significato (Percezione): Realtà interpretata (significato) sulla base di informazioni selezionate
  3. Ipotesi (Valutazione): Ipotesi ricavate dalla realtà interpretata
  4. Conclusioni (Interpretazione): Conclusioni tratte sulla base di ipotesi
  5. Credenze (Giudizio): Credenze fatte sulle conclusioni
    Azioni: Eventuali e successivi comportamenti e azioni basati su credenze

Dalle cose come sono al giudizio che pronunciamo

Il modello di questa scala dell’inferenza (R1-R5: da realtà 1 a realtà 5) ci ricorda invece che, fra l’accaduto (R1: la realtà) e il nostro giudizio (R5: la nostra verità), si snoda un percorso complesso fatto di filtri, costruzioni e riletture continue. Ecco come funziona la Scala dell’inferenza così riformulata:

  • R1 – Fatto (fatti oggettivi e fatti selezionati)
    • È l’evento nudo e crudo, ciò che accade prima di qualunque filtro umano. Un dato nel mondo, indipendente dalle nostre categorie e dai nostri desideri.
  • R2 – Percezione (significato)
    • Il fatto diventa stimolo sensoriale: vedo, ascolto, tocco. Ma già qui la realtà è selezionata: l’occhio si concentra su determinate frequenze luminose, l’orecchio su specifiche vibrazioni. La realtà si restringe al “campo percettivo”.
  • R3 – Valutazione (ipotesi)
    • Appena il dato entra in contatto con la memoria e con le emozioni, gli attribuiamo un primo valore (piacevole/spiacevole, vantaggioso/svantaggioso). È il “termometro” emotivo che decide se qualcosa merita attenzione o va scartato.
  • R4 – Interpretazione (conclusioni)
    • La mente collega quel valore ai propri schemi, alle proprie storie, al contesto culturale. Costruisce una narrazione: «Succede perché…», «Significa che…». Qui si innestano paradigmi, credenze, modelli di personalità: Big Five, archetipi, MBTI, ecc.
  • R5 – Giudizio (credenze)
    • È la sintesi normativa: giusto/sbagliato, vero/falso, buono/cattivo.
      Il giudizio rivendica lo statuto di verità, ma è il prodotto finale di una catena di trasformazioni che parte da R1. Se dimentichiamo queste mediazioni, confondiamo il nostro giudizio con il fatto e scambiamo le nostre conclusioni per la realtà stessa.

Realtà vs Verità. Sintesi delle principali prospettive filosofiche e psicologiche (e il loro legame con R1-R5: da realtà 1 a realtà 5)

Quando affermiamo che «la verità è una rappresentazione accurata della realtà» adottiamo, talvolta senza accorgercene, l’idea ingenua che l’informazione passi indenne dai fatti alla mente e, se il trasferimento è perfetto, coincida con la vera realtà che, per semplificazione, possiamo qui far coincidere con il fatto. Ripeto, affermare che R1 = vera realtà è una scorciatoia poiché molte prospettive filosofiche avvertono che la realtà in senso assoluto (noumeno, volontà, ecc.) resta oltre la portata dei nostri sensi che vedono solo il fenomeno della realtà…
Per quanto riguarda la verità, possiamo dire che R1 è condizione necessaria ma non sufficiente per la verità; quest’ultima richiede un atto interpretativo che arriva solo dopo filtri percettivi, valutazioni emotive e costruzioni concettuali. Quindi, non possiamo identificare la verità con R1; possiamo piuttosto dire che R1 è il punto di partenza condivisibile da cui, passando per R2-R4, si giunge a giudizi che pretendono di essere veri (R5). In sostanza possiamo dire che:
R2 – Percezione: il fatto è già filtrato sensorialmente.
R3 – Valutazione: gli attribuiamo un valore emotivo.
R4 – Interpretazione: costruiamo spiegazioni e schemi.
R5 – Giudizio: formuliamo un’asserzione che rivendica lo statuto di vero/falso

Vediamo adesso la sintesi delle principali prospettive filosofiche e psicologiche (e il loro legame con R1-R5: da realtà 1 a realtà 5):

  • Prospettiva: Kant – Fenomeno / NoumenoProspettiva:
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Conosciamo solo il fenomeno (mondo filtrato dalle categorie mentali); il noumeno resta inaccessibile.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Noumeno = R1 (Fatto puro, irraggiungibile) → Fenomeno già parte da R2 (Percezione strutturata).
  • Prospettiva: Schopenhauer – Volontà / Rappresentazione
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Il mondo che vediamo è rappresentazione; dietro c’è la Volontà cieca che non appare direttamente.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Volontà = R1 metafisico. R2-R4 trasformano la Volontà in immagini su cui poi giudichiamo (R5).
  • Prospettiva: Nietzsche – Prospettivismo
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Non esistono fatti “puri”: ogni “verità” è interpretazione utile alla vita da un dato punto di vista.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Mette l’accento su R4-R5: il Giudizio è sempre prospettico; riconoscerlo riduce conflitti.
  • Prospettiva: Wilber – Visione integrale
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Ogni approccio coglie una parte di verità; servono prospettive multiple per avvicinarsi al reale complesso.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Invito a integrare diversi R4-R5: ogni giudizio è parziale, occorre ascoltare più quadranti (AQUAL – All Quadrants – All Levels).
  • Prospettiva: Costruttivismo
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: La mente costruisce attivamente la realtà: la conoscenza è un modello funzionale, non uno specchio oggettivo.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Enfatizza R3-R4. Valutazione e Interpretazione plasmano la “verità” personale e condivisa.
  • Prospettiva: Gestalt
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Già la percezione organizza il dato secondo leggi innate; “il tutto è più della somma delle parti”.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Mostra la frattura precoce R1→R2: ciò che “vediamo” è già selezionato e completato dalla mente (l’immagine è un contrasto dallo sfondo: la mente struttura, completa e interpreta ciò che vede).
  • Prospettiva: Psicologia Cognitiva
    • Idea-chiave su “realtà” e “verità”: Schemi, bias ed euristiche deformano valutazioni e giudizi; la terapia Cognitiva Comportamentale (CBT) insegna a separare fatti e pensieri.
    • Collegamento con i 5 passi R1-R2: Copre l’intera catena R2-R5: attenzione selettiva, bias di conferma, errori attributivi, ecc.

Dal fatto al giudizio: collegamento ai passaggi R1-R5

Riassumiamo ora i passaggi R1-R5: da realtà 1 a realtà 5 (rappresentati nell’immagine sopra) e colleghiamoli alle teorie discusse, per evidenziare come ciascun livello aggiunga qualcosa di nostro rispetto alla realtà oggettiva:

  1. R1 – Fatto (realtà oggettiva):
    • È l’evento nudo e crudo, ciò che accade nel mondo o un dato così com’è. Idealmente è indipendente da chi osserva (es. “ore 8:00, Mario non è arrivato alla riunione”).
    • Nella filosofia di Kant o Schopenhauer corrisponde al noumeno o alla realtà in sé – qualcosa che esiste, ma di cui non abbiamo accesso diretto completo.
      Tutti i pensatori analizzati concordano che questo livello puro è in parte sfuggente: già nel momento in cui osserviamo un fatto, non lo cogliamo mai in totale oggettività.
    • Importante nei conflitti: iniziare distinguendo i fatti concreti su cui (si spera) tutti possano accordarsi, prima di discutere il resto.
  2. R2 – Percezione:
    • È il modo in cui i nostri sensi e la nostra mente colgono il fatto. Già qui possono avvenire discrepanze.
    • La Gestalt insegna che percepire significa strutturare (vediamo forme, pattern, a volte illusioni: ad es. percepire un movimento che non c’è). Anche la psicologia cognitiva e studi sul comportamento mostrano che la percezione è selettiva: possiamo notare o non notare aspetti di un evento (es. gorilla invisibile).
    • Un altro esempio: due testimoni oculari di un incidente spesso ricordano diversamente i colori o dettagli – la percezione di R2 differisce per ciascuno. In termini di “verità”, la percezione è la “nostra realtà” immediata, che può discostarsi dal fatto (R1).
    • Nei conflitti/feedback: Condividere le proprie percezioni soggettive (“io ho visto/sentito…”) sapendo che sono parziali apre la discussione, invece di presumere che la propria percezione sia l’unica valida.
  3. R3 – Valutazione:
    • È la prima attribuzione di valore o giudizio rapido che diamo a ciò che abbiamo percepito. Spesso è un processo quasi automatico: coinvolge le emozioni, i filtri personali (es. aspettative, bisogni).
    • Ad esempio, percependo un collega che parla con tono elevato, posso valutarlo subito come “ce l’ha con me” (valenza negativa) oppure “è appassionato” (valenza positiva) prima ancora di pensarci. La valutazione intreccia percezione e interpretazione emotiva.
    • Nietzsche riconoscerebbe qui l’entrata in gioco della prospettiva individuale (il mio istinto può valutare un fatto secondo i miei valori).
      La psicologia cognitiva studia questo stadio con concetti come appraisal (valutazione) nelle teorie dell’emozione: il modo in cui interpreti un evento determina l’emozione che provi.
      Ad esempio, se valuto l’atteggiamento di una persona come ostile, proverò rabbia; se lo valuto come un malinteso, sarò più tollerante.
    • Nei conflitti/feedback:
      R3 è importante perché spesso le divergenze nascono qui (“io l’ho vissuta come una mancanza di rispetto, tu invece no”).
      Esternare come si è valutato un fatto (“mi sono sentito attaccato da quel commento”) aiuta a far capire la propria reazione, senza però dare colpe, visto che è una nostra valutazione.
  4. R4 – Interpretazione:
    • A questo livello costruiamo una spiegazione articolata o un significato del fatto percepito, spesso basandoci su esperienze passate, credenze e bias cognitivi. L’interpretazione risponde a “perché è accaduto?” o “cosa significa?”.
    • Ad esempio: “Mario è in ritardo (fatto); ho notato che non arriva (percezione); penso non tenga al meeting (valutazione negativa); probabilmente è pigro o irresponsabile” – quest’ultima è un’interpretazione (sto attribuendo una causa interna e un tratto di personalità).
    • Kant direbbe che tutta la nostra conoscenza è interpretazione di fenomeni secondo categorie;
      Nietzsche sottolinea che ogni verità è interpretazione prospettica; il costruttivismo e la psicologia cognitiva concordano che qui stiamo aggiungendo del nostro (schemi, aspettative).
    • Le distorsioni cognitive operate da schemi errati si manifestano specialmente in R4: ad esempio il mind reading (credere di sapere cosa l’altro pensa) o la personalizzazione (“se non mi saluta, ce l’ha con me” – interpretare ogni azione altrui riferita a sé) sono tipici errori interpretativi.
    • Nei conflitti/feedback:
      È cruciale separare le interpretazioni dai fatti. Formulare frasi del tipo: “La mia interpretazione di questo fatto è che…”, riconoscendo che è una lettura possibile e non l’unica verità, apre la strada al confronto.
      Chiedere anche all’altro: “Tu come interpreti questo comportamento?” per vedere se state attribuendo intenzioni diverse. Questo stadio è dove si può rettificare: spesso scoprendo le intenzioni reali dell’altro, l’interpretazione iniziale (magari negativa) si rivela errata.
  5. R5 – Giudizio:
    • È il livello finale in cui formuliamo una conclusione o verdetto che tendiamo a considerare la “verità” sull’evento o sulla persona.
    • È qui che diciamo ad esempio: “Tu sei inaffidabile” oppure “Questo fatto significa che il progetto è fallimentare” – stiamo dando un giudizio globale. Il giudizio spesso incorpora l’interpretazione (R4) ma la fissa in un’affermazione ritenuta vera, a volte con carattere generale o definitivo.
    • Nietzsche ci metterebbe in guardia: i giudizi sono spesso illusioni divenute realtà nella nostra mente, semplificazioni grossolane della ricca complessità del reale.
      Ken Wilber suggerirebbe di ricordare che il nostro giudizio è solo un frammento della verità totale; un altro punto di vista potrebbe rivelare un altro frammento.
    • Nei conflitti/feedback:
      Arrivare a R5 è normale (abbiamo opinioni e le esprimiamo), ma è utile farlo dopo aver chiarito i passi precedenti con l’interlocutore. Inoltre, conviene formulare giudizi in modo aperto e non assoluto.
      Ad esempio invece di “Dunque hai sbagliato tutto, sei incompetente”, poter dire: “Alla luce di quello che ci siamo detti, il mio giudizio sulla situazione è che c’è stata leggerezza. Tu come la vedi?”. Coinvolgere l’altro anche sul giudizio finale permette di costruire una verità condivisa più vicina possibile ai fatti.

De-escalation e ricadute operative

Quando due parti entrano in conflitto, ciò che si scontra non sono (quasi mai) i fatti, bensì due Giudizi ormai cristallizzati in convinzioni.
La de-escalation richiederebbe quindi un “reverse engineering” lungo la scala R5 → R1:
smontare i giudizi, risalire alle interpretazioni, alle valutazioni emotive, alle percezioni selettive e, infine, tornare al fatto nudo.

Tre ricadute operative per la formazione e per il coaching:

  1. Mappare i livelli di discorso – Quando emergono incomprensioni, chiedersi: «Siamo su R1 (dati), R2 (percezioni) o R4-R5 (interpretazioni e giudizi)?» aiuta a disinnescare liti basate su “verità” diverse.
  2. Integrare più prospettive – Pratiche come World Café, fish-bowl, constellation, ecc. permettono di far emergere interpretazioni molteplici (Nietzsche, Wilber), valorizzando il frammento di verità di ciascuno.
  3. Allenare il “debiasing” – Esercizi di reality-testing, role-reversal e retrospettive strutturate aiutano i partecipanti a riconoscere bias cognitivi, a distinguere fatti da costruzioni (Costruttivismo, Cognitivismo).

In conclusione, distinguere realtà e verità non è solo un esercizio teorico, ma ha implicazioni pratiche fondamentali. Filosofi come Kant, Schopenhauer, Nietzsche e Wilber, ciascuno a modo suo, ci mostrano che la verità umana è sempre mediata – dai sensi, dalla mente, dalla prospettiva o dal livello di coscienza. Le psicologie (costruttivista, della Gestalt, cognitiva) confermano empiricamente che non “vediamo” mai il mondo in modo neutro, ma tramite filtri e costruzioni mentali.

Applicare questa consapevolezza nei contesti formativi, nella comunicazione e nella gestione dei conflitti significa allenarsi a separare i fatti dalle interpretazioni, riconoscere le proprie distorsioni, e avere l’umiltà di accettare che il nostro punto di vista è solo uno dei possibili. Così facendo, il confronto diventa più sincero e produttivo: invece di scontrarsi tra “verità” assolute incompatibili, ci si ascolta per comprendere come ciascuno costruisce il proprio senso della realtà. Questa è la chiave per un feedback efficace e per la risoluzione collaborativa dei conflitti.

Fonti:

  • Chris Argyris ideatore della Scala dell’inferenza (Ladder of Inference)
  • Psicologia cognitiva – la percezione interpreta i dati sensoriali, non coincide mai perfettamente con la realtà; distorsioni cognitive che alterano percezione e interpretazione della realtà.
  • Kant – distinzione fenomeno/noumeno (realtà per noi vs realtà in sé)
  • Nietzsche – prospettivismo, “non esistono fatti ma solo interpretazioni”; verità come illusioni dimenticate
  • Schopenhauer – mondo come rappresentazione (fenomeni per il soggetto) vs Volontà (essenza in sé)
  • Ken Wilber – integrazione di prospettive, ogni campo contiene un aspetto di verità; nessuno possiede la verità intera, ognuno ha un frammento
  • Costruttivismo (psicologia) – la mente costruisce attivamente la realtà, dando significato ai dati
  • Psicologia della Gestalt – la percezione organizza attivamente gli stimoli (illusione phi: percezione di movimento diverso dalla realtà); percezione influenzata da aspettative
  • Le immagine sono state ricavate da Canva

Le App dell’Intelligenza Artificiale generativa sostituiranno i coach?

In questo articolo ho affrontato il tema dell’impatto dell’Intelligenza Artificiale generativa che ha e che avrà sempre di più nel coaching sviluppando questi argomenti (che a loro volta potevano diventare altrettanti articoli:

  • Il possibile sviluppo futuro dell’offerta di coaching
  • La competenza del “pensiero critico”
  • La commoditizzazione dei servizi di coaching
  • Una sintesi del possibile impatto sulla professione del “Coach”
  • Aree per l’Integrazione dell’IA vs. Necessità Umana nel Coaching

Parto subito con una risposta provocatoria alla domanda “Le App dell’Intelligenza Artificiale generativa sostituiranno i coach?

Le App dell’Intelligenza Artificiale generativa non sostituiranno i “coach” ma sostituiranno (o surrogheranno) una (buona) parte del “coaching“!

Se questa affermazione non ti basta e vuoi saperne di più prosegui con la lettura dell’articolo.

Il possibile sviluppo futuro dell’offerta di coaching

La mia esperienza personale nell’integrare l’intelligenza artificiale nel coaching ha aperto nuove prospettive sul potenziale di questa tecnologia nel potenziare il processo di coaching. Trasferendo il mio know-how sul “processo-contenuto” a ChatGPT 4 attraverso prompt sempre più complessi, ho sperimentato direttamente le opportunità che l’IA- Intelligenza Artificiale può dare ad un coach:

  • Può servire efficacemente in modalità Copilot, supportando attività di coaching e simulando sessioni specifiche per vari bisogni, inclusi il Business Coaching e il Career Coaching.
  • La recente possibilità di personalizzare GPT (applicazioni GPT) e poi di pubblicarle nel GPT Store, il negozio virtuale per personalizzare ChatGPT aumenta questa possibilità: vedi l’applicazione GPT “Professional Coach” creata da WikiCoaching.
  • Questa innovazione si estende alla creazione di strumenti come il “Piano di Sviluppo del Progetto di Carriera” e il “Personal Branding Canvas”, dimostrando la capacità dell’IA di adattarsi e contribuire significativamente al processo di coaching.

Lo sviluppo futuro dell’offerta di coaching si potrebbe quindi articolare in diverse possibili offerte tra le quali:

  • Exclusive: Servizi creativi e ibridi che forniscono un’esperienza unica, potenziata dall’IA in modalità Copilot e da tecnologie innovative. Servizi ancora futuribili ma ormai si intravedono nel campo delle possibilità.
  • Premium: Coaching erogato da esperti dotati di significativa esperienza aziendale, personalizzazione e allineamento con gli obiettivi di sviluppo e di business, arricchito dall’IA a supporto delle sessioni, dei feedback, del follow-up e degli eventuali assessment.
  • Blended: Servizi di coaching combinati con altri servizi di formazione, training, facilitazione, consulenza HR, consulenza agile e di business, ecc. erogati sia in presenza che da remoto.
  • Cyber: Offerte economiche basate esclusivamente sulle App dell’Intelligenza Artificiale generativa, senza necessariamente richiedere l’interazione diretta con un coach, e potenzialmente arricchite dall’uso di wearable (indossabile, l’iWatch della Apple è un esempio significativo anche se ancora embrionale di queste applicazioni, provare per credere).

Ecco alcuni motivi per cui il coaching del coach in modalità “Exclusive” e “Premium” rimarrà insostituibile:

  • Presenza e sviluppo di relazioni: La migliore competenza di un coach è determinata dalla presenza: la capacità del coach di essere pienamente consapevole e presente con il cliente, impiegando uno stile aperto, flessibile, radicato e fiducioso per dare spazio al cliente. Questa presenza è in sé abilitante: per le relazioni di fiducia e per la creazione dello spazio di rispetto con i clienti, creando un ambiente sicuro e di supporto per la sua crescita personale e professionale.
  • Comprensione empatica: La connessione empatica e la capacità di ascolto (… e di ascoltarsi: la migliore pratica in questo senso è rappresentata dal Focusing), genera fiducia nel cliente. I coach possono connettersi con le emozioni e comprendere le motivazioni dei clienti andando oltre le parole e gli aspetti cognitivi (unica area invece in cui possono intervenire le App dell’IA) fornendo loro un supporto personalizzato e adattato alle loro esigenze individuali (per un approfondimento vedi anche i centri: razionale, emotivo e istintivo dell’Enneagramma, del mBIT’ – multiple Brain Integration Techniques, ecc.)
  • Feedback: I coach possono fornire feedback intuitivi (coach possono utilizzare la loro creatività e intuito per aiutare i clienti a trovare soluzioni innovative ai loro problemi in un processo co-creativo), aiutandoli a migliorare le loro prestazioni e raggiungere i loro obiettivi. Ad esempio anche una pausa, un silenzio, una semplice ripetizione di una domanda può aprire un mondo inesplorato al cliente.

Altri motivi per cui anche il coaching del coach in modalità “Blended” rimarrà difficilmente sostituibile:

Le App dell’Intelligenza Artificiale generativa specializzate in coaching sono ancora molto distanti da un’AGI – Intelligenza Artificiale Generale: un’intelligenza artificiale che può risolvere problemi in vari domini, come un essere umano, senza intervento manuale. Invece di limitarsi a un ambito specifico, l’AGI può imparare da sola e risolvere problemi per i quali non è mai stata addestrata. Le previsioni sulla creazione dell’AGI – Intelligenza Artificiale Generale vanno dai cinque a oltre i dieci anni. In ogni caso (credo, spero) questa AGI avrà un’intelligenza razionale/cognitiva e non emotiva e istintiva come sopra accennato. Oltre a questo i limiti dell’attuale App-IA risiedono quindi nella loro specializzazione derivata da un pre-addestramento.

L’approccio “Blended” che può abbinare, se utile e necessario, il coaching del coach ad attività di formazione, training, facilitazione, consulenza HR, consulenza agile, di business, ecc. diventa un forte antidoto, una capacità di switch che le App-IA specializzate non hanno.

Anzi con L’approccio “Blended” potrebbe essere lo stesso coach a servirsi delle App-IA generative, come vedremo nella conclusione.

In ogni caso la transizione verso questi nuovi modelli di coaching evidenzia una progressiva estinzione del coaching basic (attuato da coach in modo standard con modelli preconfezionati e applicati in modo prevalentemente indifferenziato), facendo emergere un paradigma in cui il supporto dell’IA per i servizi di coaching “Exclusive”, “Premium” e “Blended” diventa indispensabile. La combinazione della capacità creativa del coach con quella generativa dell’IA, guidata dal coach stesso, supera le capacità delle attuali applicazioni di IA in modalità Cyber. Questo sarà un vantaggio che potrebbe perdurare anche con l’avvento dell’AGI, abbiamo visto.

L’accelerazione anticipata dalle App-IA generative e dal relativo cambiamento tecnologico potrebbe paradossalmente rafforzare la domanda di coaching?

Le App-IA generative potrebbero allargare l’attuale platea dei clienti di coaching. Man mano che individui e organizzazioni navigano questi cambiamenti, infatti, la necessità di orientamento, sviluppo personale e strategie di adattamento probabilmente aumenterà. La professione di coaching potrebbe vedere un’espansione, servendo come un ponte critico per aiutare le persone ad allinearsi e sfruttare questi rapidi cambiamenti.

La competenza del “pensiero critico”

I coach si evolvono nei servizi uguali o simili a quelli rappresentati come “Exclusive”, “Premium” e “Blended”, dovrebbero quindi concentrarsi sull’Intelligenza Emotiva e soprattutto sullo sviluppo della fondamentale competenza del pensiero critico.

La competenza del pensiero critico riveste un ruolo cruciale sia per il coach che per il cliente nel contesto del coaching,

specialmente in un approccio “Blended” che integra vari elementi come formazione, consulenza e tecnologia, incluso l’uso di App-IA generative. In particolare:

  1. Soluzione di Problemi Complessi: Il pensiero critico abilita il coach a navigare attraverso problemi complessi e multifaccettati, permettendo una comprensione più profonda delle sfide uniche che il cliente sta affrontando. Questo facilita l’ideazione di soluzioni innovative e personalizzate che trascendono le risposte standardizzate offerte dalle App-IA e la capacità di saper sfruttare questi strumenti per simulare scenari decisionali, usando il pensiero critico per valutare i rischi, i benefici e le potenziali conseguenze di varie opzioni.
  2. Valutazione degli output dell’IA e Decision Making: Nell’era dell’Intelligenza Artificiale, le persone sono sovraccaricati da dati e insight e si sentono minacciate (quando sono consapevoli) dalle possibilità di sostituzione derivante da: Automazione + IA. Il pensiero critico consente di valutare l’affidabilità e la rilevanza delle informazioni e dagli output dell’IA, riuscendo in questo modo a utilizzare l’IA in modalità copilot (almeno fino a che non arriva la suddetta AGI.
  3. Adattamento e Innovazione: Mentre le App-IA possono offrire supporto basato su dati preesistenti, solo attraverso il pensiero critico i coach possono adattarsi e innovare in tempo reale, personalizzando l’approccio a seconda delle mutevoli esigenze del cliente e integrando nuove tecniche o tecnologie quando necessario.

La commoditizzazione dei servizi di coaching

La commoditizzazione avviene quando “le caratteristiche distintive di un prodotto o servizio diventano meno importanti per i consumatori, che si concentrano maggiormente sul prezzo”.

Ecco alcuni fattori (oltre alla sempre maggiore offerta di coaching rispetto alla domanda…) che possono contribuire alla minaccia di una ulteriore spinta dell’IA e della tecnologia alla commoditizzazione dei servizi di coaching:

  • Globalizzazione: La concorrenza globale delle App dell’Intelligenza Artificiale generativa può portare a un calo dei prezzi e spingendo verso una riduzione dei prezzi e rendendo più difficile per i coach distinguersi esclusivamente sulla base del costo: i coach potrebbero trovarsi a competere su prezzi sempre più bassi, compromettendo la percezione del valore e la sostenibilità delle loro pratiche
  • Tecnologia: L’innovazione tecnologica delle App dell’Intelligenza Artificiale generativa aumenta esponenzialmente l’accessibilità ai servizi di coaching rendendoli più comparabili e costringendo i coach a cercare efficienze operative o a diversificare i loro servizi.
  • Standardizzazione: Quando le metodologie di coaching diventano standardizzate dalle App dell’Intelligenza Artificiale generativa, i clienti potrebbero avere difficoltà a percepire il valore aggiunto del coach rispetto ad un coaching diffuso, standardizzato oltre che accessibile.
  • Dematerializzazione: L’accessibilità di strumenti e risorse online potrebbe diminuire l’importanza percepita del tocco umano e della personalizzazione che un coach professionista porta.

Una sintesi del possibile impatto sulla professione del “Coach”

Pro:

  • L’integrazione dell’IA nel coaching promette di rivoluzionare la professione, ampliando le possibilità di personalizzazione, efficienza e accessibilità dei servizi. L’integrazione dell’IA nel coaching presenta un insieme misto di potenzialità. L’adozione dell’IA nel coaching offre numerosi vantaggi, inclusa la capacità di gestire grandi volumi di dati e fornire insight basati sull’analisi. Aspetto che potrebbe essere utilizzato anche dai produttori di Assessment.
  • L’IA potrebbe semplificare i compiti amministrativi, migliorare l’allocazione delle risorse e fornire intuizioni basate sui dati, rendendo il coaching più efficiente e accessibile. E’ quindi fondamentale riconoscere e affrontare le limitazioni dell’IA, specialmente nel replicare la complessità delle interazioni umane e nella gestione delle dinamiche emotive e relazionali.

Contro:

  • Rischio di commoditizzazione: L’accessibilità e la standardizzazione dei servizi di coaching potenziati dall’IA potrebbero ridurre la percezione del valore aggiunto unico offerto dai coach, minacciando di commoditizzare la professione. Probabile surclassamento del coaching tradizionale o di basso livello, come abbiamo visto prima.
  • Spersonalizzazione del Coaching: Il rischio che i clienti App dell’Intelligenza Artificiale generativa sentano sempre meno l’esigenza dell’engagement e della connessione personale nelle sessioni di coaching è un pericolo, poiché le relazioni di fiducia e il supporto personalizzato sono al cuore dell’efficacia del coaching del coach.
  • Il rischio che i clienti App dell’Intelligenza Artificiale generativa sentano sempre meno l’esigenza dell’intelligenza emotiva, dell’empatia e la comprensione sfumata che i coach offrono pone un notevole inconveniente. Il rischio conseguente di depersonalizzazione e riduzione dell’engagement emotivo come nelle sessioni di coaching è una preoccupazione legittima.

Aree per l’Integrazione dell’IA vs. Necessità Umana nel Coaching

Riprendo il tema da un interessante articolo di Giovanna Giuffredi “Le macchine sostituiranno i coach?” che a sua volta riprendeva una survey promossa da Coaching Time. C’è un consenso tra i punti di vista dell’articolo che l’IA potrebbe servire bene nel gestire gli aspetti burocratici del coaching, come la programmazione, il monitoraggio dei progressi e anche certi compiti analitici. Eppure, quando si tratta delle dimensioni esplorative, emotive e profondamente personali del coaching, l’elemento umano è insostituibile.

L’essenza del coaching risiede nell’abilità umana unica di connettersi, empatizzare e adattarsi ai paesaggi emotivi sfumati degli individui, cosa che l’IA è ben lontana dal replicare.

Riflessioni finali

Riflettendo sull’articolo e sul discorso più ampio, è evidente che un approccio equilibrato è cruciale. Abbracciare l’IA per i suoi punti di forza, in particolare nel gestire aspetti logistici e basati sui dati del coaching, può liberare i coach a concentrarsi di più sul nucleo del loro lavoro: favorire la crescita emotiva, la resilienza e la trasformazione personale.

L’integrazione dell’IA nel coaching potrebbe non è una questione di sostituzione, ma di potenziamento.

Il futuro del coaching potrebbe ben includere una relazione simbiotica tra coach e strumenti IA, ciascuno sfruttando i propri punti di forza per facilitare esperienze di coaching più complete, accessibili ed efficienti. La sfida sta nel navigare questa integrazione senza perdere di vista l’essenza profondamente umana del coaching.

  • Concordo quindi con l’affermazione finale di Giovanna Giuffredi “Le macchine le governiamo noi umani, con il giusto equilibrio e armonia i coach riusciranno a servirsi della tecnologia per soddisfare i loro clienti“. La mia esperienza e la visione futura del coaching delineata evidenziano il potenziale dell’IA nel trasformare e potenziare la professione del coaching. Man mano che esploriamo questa nuova frontiera, è cruciale navigare con cura tra le opportunità offerte dalla tecnologia e il valore inestimabile dell’elemento della presenza umana nel coaching.

Articoli correlati:

Riferimenti: