I dati del Lavoro da Casa forzato

SmartWorking-help

Si stima che il lavoratori interessati dal «Lavoro da Casa forzato» (meglio chiamarlo così che Smart Working) siano un piccolo esercito di smart worker è attivo nella penisola. Sono quasi 2 milioni gli italiani che, a causa dell’emergenza, hanno iniziato a lavorare da casa e il 56% di loro non disdegnerebbe proseguire a fine serrata, seppur in maniera ridotta (fonte Nomisma del 14 aprile)

  • L’82% degli 8 milioni di italiani attualmente in smart working è stato costretto a lavorare in questa modalità dall’emergenza: tra loro, solo il 31% avrebbe voluto farlo prima
  • Nel 37% dei casi il lavoro agile è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro;
  • nel 36% dei casi in modo unilaterale dal datore di lavoro; nel 27% dei casi in modo negoziato attraverso l’intervento del sindacato
  • Il 60% dei lavoratori vorrebbe continuare anche dopo a lavorare con questa modalità,
  • Oltre il 90% ritiene che per lavorare da casa occorrano competenze specifiche.
  • Nella maggior parte dei casi tali competenze erano già sviluppate, come ad esempio l’uso di strumenti e tecnologie informatiche: il 69% le aveva già  ma il 31% non ne era in possesso

Risparmi

100.000 euro risparmiati, 10.000 ore di tempo libero e oltre 60 tonnellate di anidride carbonica non liberate in atmosfera. Sono la somma delle “autocertificazioni” fatte dagli utenti della app Jojob all’interno della piattaforma ColleghiAmo il Lavoro

Problemi

Molti lamentano le modalità di attuazione dello smart working, lamentano il fatto che rispetto al lavoro in ufficio sia più pesante, complicato (31%, ma per le donne 39%). alienante e stressante. Ad ammettere di sentirsi più ansioso e stressato per il proprio lavoro rispetto a prima, è il 46% degli intervistati, mentre il 48% ammette di lavorare almeno un’ora in più al giorno: ossia circa 20 ore (quasi 3 giorni) in più al mese.

A questo si aggiunge il desiderio di dimostrare ai propri capi che si merita il proprio lavoro:

  • il 16% si sente preoccupato che il datore di lavoro lo licenzi,
  • mentre il 19% si sente ansioso e si chiede se la propria azienda sopravviverà.

Report e la rete. Fuoco amico senza una vera inchiesta

imageLa puntata di Report del 10 aprile, mi ha trovato coinvolto, in Twitter, con commenti via via più sconcertati da come le interviste e  le informazioni facevano a gara nei toni allarmistici. E’ chiaro che molti colleghi blogger e altri “addetti ai lavori” siano rimasti un po’ sconcertati.

A me sembra, a freddo, che gli argomenti principali trattati dalla trasmissione siano stati essenzialmente due:

  1. Il comportamento dei big player come Google e Facebook, l’atteggiamento (a volte monopolistico) poco trasparente in termini di libertà, policy e sicurezza
  2. Esperienze di fruizione ed uso da parte degli utenti…

Nel primo caso (big player) la trasmissione ha evidenziato molte cose che si sapevano e che una trasmissione d’inchiesta non poteva non sottolineare. Nessun cenno al fenomeno di Twitter (il Social Media che ha supportato le rivolte del nord Africa…) e solo un esempio breve dell’utilità di Foursquare.
Nel caso degli utenti, Report ha riportato casi di violazione e di rischio.

Dov’è il punto? Il punto è che il contesto italiano della rete (uno dei pochi spazi di libera espressione, visto il duopolio televisivo), della Pubblica Amministrazione, dell’ADSL, dell’infrastruttura della rete (che fine ha fatto lo stanziamento di 800 milioni previsti nel 2010?), per dell’arretratezza delle aziende (e dell’e-Commerce, un decimo rispetto a quello inglese, per esempio…), la Gabanelli non ha sfiorato nemmeno uno di questi argomenti anche se si giustifica dicendo “non abbiamo fatto una puntata per la Rete. Ci sono anche quelli che non sanno come funziona il meccanismo dell’https“.

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L’effetto è quello di un boomerang contro chi fa questo mestiere con serietà e impegno. Se lo status quo dei media e del loro controllo da parte della politica e delle poche imprese oligopoliste porta a ignorare la rete, una trasmissione di denuncia che evidenzia “solo” i problemi (come sopra esposto) è da considerare un’occasione mancata (e una sensazione di “fuoco amico”). E’ proprio l’inchiesta che manca: quella vera sul Digital Divide italiano , sulle occasioni che stiamo perdendo come sistema paese, in termini di infrastruttura e di cultura digitale…

Dall’intervista all’Unità, la Gabanelli si giustifica sui contenuti divulgativi (e di massa) della trasmissione ma non ha avuto un contraddittorio sula sua mancata denuncia dei difetti strutturali (e voluti) in cui versa la rete in Italia. Ci sarà un’altra occasione?

Noi, operatori del settore che ci occupiamo di SEO, SEM, SMO, SMM… ci conviene comunque fare un salto di qualità, se ce la facciamo. Non dovremmo dividerci tra sostenitori di Google e/o di Facebook (come non dovremmo dividerci tra sigle di tre lettere che non dicono nulla del mestiere che facciamo, da dove veniamo e, soprattutto che cosa andremo a fare…
La vicenda di Report non ci deve trovare esposti e vulnerabili alle logiche di dominio dei Big Player come Google e Facebook.
Loro perseguono le loro vision e le loro quotazioni in borsa, noi seguiamo le aziende per le persone e le persone per le aziende… è anche questo il web. Tutto è analogico, tutto non sarà mai del tutto digitale….
Vedi anche “Digital divide, internet e PIL. Non solo Facebook e problemi di privacy”.

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