Innovazione di processo come fattore di competitività. Non solo StartUp
Approfondisco in questo articolo quanto affrontato nel precedente: L’innovazione diffusa e l’iniziativa editoriale del Corriere del Veneto.
Ma l’innovazione è ancora l’ultimo fattore per la competitività o c’è dell’altro?
Dagli anni 90, il driver dell’innovazione si sia aggiunto a quelli della flessibilità (anni 80-90), della qualità (anni 70-80), sopra l’onnipresente macro-driver della produttività (era della produzione industriale e di massa del miracolo economico anni 60).
Nel 2013 l’innovazione è ancora l’ultimo fattore per la competitività? Possiamo ancora affermare che “L’innovazione tecnologica è il principale fattore competitivo in un economia basata sulla conoscenza”? Il nuovo paradigma non potrebbe essere quello della “partecipazione”???
Su quest’ultimo aspetto ha avuto modo di esporre a Barbieri e Inguscio, il mio punto di vista circa la necessità di non far coincidere (a livello di percezione e di comunicazione con il Corriere Innovazione, quindi) innovazione = start up. Quando mi trovo in situazione di formazione, nelle aziende, cito sempre il rapporto tra comportamento e innovazione come un’equazione: innovazione = 80% comportamento e 20% tecnologia (… guarda caso un tema del mio ultimo post “Network interni alle aziende. Reti informali e comportamento innovativo”).
Innovazione di processo e ricerca della relazione produttore-persona
Sostengo, quindi che l’innovazione di processo sia più determinate dell’innovazione di prodotto (destinata al ciclo di vita, all’obsolescenza…). E’ più importante per un’azienda attivare un processo creativo/innovativo incrementale che sostenga i continui lanci di prodotti innovativi piuttosto che inseguire la chimera del prodotto che risolve tutto e che si vende da solo (sogno mai morto del marketing manager)…
Sostengo, non solo ora, che occorra sempre sviluppare l’ascolto del mercato e delle esigenze del cliente in un continuum di innovazione di processo e ricerca della relazione produttore–>persona all’interno dell’egemonia (se il prodotto funziona) del rapporto persona (cliente)/prodotto: il prodotto è di chi lo usa e non di chi lo fa… E’ chiaro che la relazione produttore–>persona non può che diventare una relazione persona (dell’azienda)—> persona in una relazione che si sviluppi in reciproco scambio e accrescimento. E’ questa, del resto, l’essenza del fare marketing con i social media.
In effetti, la novità (innovativa) dell’innovazione di prodotto ha come approdo una strategia unfocused (non focalizzata) caratterizzata dallo sviluppo di nuove “base technology” del prodotto, poiché il radicale cambiamento tecnologico non riguarda generalmente la “core technology”, esso finisce per determinare la creazione di nuovi prodotti che soddisfano bisogni diversi e che necessitano di diversi canali distributivi. Sono i bisogni diversi (relazione prodotto-persona) e i canali distributivi (contesto di acquisto e d’uso).
Per le aziende tutto ciò non significa avere un genio nel dipartimento ricerca e sviluppo ma di abilitare la genialità ed il talento che esiste già non solo in azienda ma anche nel processo di utilizzo, consumo e di soddisfazione dei bisogni che è già insito nell’egemonia del rapporto persona/prodotto!
L’area più importante dell’innovazione è quella radicale e del modello di business, vale a dire la fusione delle capacità aziendali con le potenzialità del mercato (rapporto persona/prodotto, comunicazione, ecc.), credo che sia questa una buona interpretazione di quello che va sotto il nome si Social Business, purché il tutto non sia ancora equivocato con la tecnologia (…).
Tra dieci anni sapremo quali sono le aziende che saranno sopravvissute a questa crisi. Chi saprà andare oltre la dimensione di adattamento evolutivo avrà le migliori opportunità per esserci, ancora…
Mi fermo qui, ma il discorso mi piacerebbe vederlo approfondito anche nel Corriere Innovazione.
Fonti utilizzate per le immagini:
– Avantionline.it
– Fundersandfounders.com
– Day-one.it
– Openupblog.it