Co-creazione e saggezza della rete. Crowdsourcing come risorsa latente

La saggezza delle folle.

imageSapreste indovinare il peso di un manzo? Da soli no ma neanche se si è esperti.
A questa conclusione arrivò lo statistico inglese Galton, osservando una gara tenutasi in una fiera nel lontano 1906. In quell’occasione 800 persone non indovinarono il peso del manzo, ma Galton notò che la media delle stime dei partecipanti si avvicinò al peso reale con uno scarto sotto l’1%!!!

Aziende nella rete, inconsapevoli?

La "rete" tra le persone c’è sempre stata, c’è sempre stata la "saggezza delle folle"… solo che adesso le chiamiamo, rispettivamente, Social Network e Crowdsourcing.
Quante sono le aziende che sono in grado (maturità), di riconoscere un ruolo ai Social Network (reti informali) esistenti tra i propri collaboratori e di interagire con essi?
imageQuante sono le aziende in grado di affiancare la struttura gerarchica degli apporti di "saggezza" (Crowdsourcing) provenienti dai collaboratori, dai partner, dalla rete diffusa dei clienti/utenti?
Oltre trent’anni fa le aziende inibivano, con il centralino, l’accesso libero alla rete telefonica. Negli anni ottanta i terminali ingabbiavano l’accesso alle informazioni quando cominciavano a diffondersi i PC (Personal, appunto). Stesso destino per la email, solo con il tempo è diventata accessibile a tutti, o quasi, in azienda. Con internet il ritardo di almeno due i tre anni rispetto alle accessibilità personali di "consumer" è stato mantenuto, fino ad arrivare all’ultimo Digital Divide (ma è più un knowledge divide) aziendale: l’accesso ai Social Network.
Eppure lo statistico Galton già 105 anni orsono aveva "scoperto" che la folla batteva gli esperti. Anche la casalinga di Voghera che guarda i quiz in TV si accorge che nel pubblico presente c’è quasi sempre chi sa la risposta.

Scelte decisionali e influenza sociale.

La scoperta dei "neuroni specchio", cioè la risonanza interiore di un’esperienza altrui, ci fanno riflettere sull’iterazione sociale "inconscia" quando prendiamo delle decisioni. CrowdsourcingÈ l’empatia (risonanza emotiva) che interviene, anche nel comportamento di acquisto di un prodotto. La validazione sociale dell’appartenenza ai valori del brand può farci superare il trade-off della perdita di danaro che l’acquisto comporta (piacere>perdita). La condivisione con la propria rete sociale fa parte di un importante "centro di ricompensa", anche dopo l’acquisto.
Acquistiamo anche per entrare in contatto con i valori (Identity e promessa di valore) del brand ma anche per entrare in contatto con le persone che fanno già parte del brand e non solo come clienti.
Qui sta il segreto del Crowdsourcing e dell’azienda che sostiene (a volte basta solo non ostacolarla) la collaborazione tra le persone (reti informali) e tra le reti di persone (Social Business), arrivando rendere trasparente (se non abolendolo) il diaframma che divide l’interno dell’azienda con l’esterno…
È questo il continuum tra interno/esterno dell’azienda e tra insight e socialità del brand. Siamo in presenza di una Co-creazione del brand (come sostenuto anche dal Marketing classico), una possibilità aperta anche alla Co-innovazione, nel caso in cui l’azienda si rivolga a segmenti specifici clienti/utenti.
Ancora la metà delle aziende, in Italia, inibisce ai propri dipendenti l’accesso ai Social Network. È questa la fiducia che si ha dei propri collaboratori? Perché non considerarli come clienti anche se interni? Come possono diventare i primi Brand Ambassador dell’azienda se gli inibiamo l’accesso ai Social Network?
La rete non è solamente un accesso all’informazione disponibile e aperta ma anche l’accesso ai mercati ("… i mercati sono conversazioni"). Con il Social Business (reti infornali come agenti del cambiamento e dell’innovazione), la rete consente l’accesso a "nuovi" mercati e, con il Crowdsourcing, il riconoscimento del valore del brand.

I social media non sono assimilabili al marketing interattivo (computer to consumer), ma sono relazioni tra persone (people to people), tra queste persone ci sono anche i collaboratori e le reti (interne) aziendali.
Riflettano su quest’ultimo aspetto le aziende che ancora non riconoscono la "saggezza delle folle" costituite dai dipendenti e dai clienti.
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(Immagine: http://darmano.typepad.com)

Attività di Social Media Marketing. Un confronto tra obiettivi e risultati, non sempre lineare.

Le metriche quantitative non sono esaustive per il Social Media Marketing

Quali sono i parametri per misurare il successo di una campagna sui Social media? Le metriche riguardano il traffico generato, il numero di clic, il coinvolgimento degli utenti, il  numero delle pagine viste, numero delle visite di ritorno e il numero totale delle visite al sito (fonte Social Media Strategy & Monitoring Research, preso dal blog di Mattia Lissi). Le perplessità che suscitano queste metriche derivano, secondo il mio punto di vista, dal vedere al centro il website dell’azienda/brand con i suoi relativi strumenti di Web Analytics (vedi istogramma sotto riportato).

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Altri parametri come la qualità dei commenti, l’engagement, la disponibilità del cliente/utente a generare buzz positivo (leggi: net promoter score), non si evince ancora chiaramente dall’insieme dei numeri:

  • dei fan/followers
  • dei commenti
  • degli utenti registrati/profilati
  • dei likes (Facebook) e/o dei +1 (Google+)
  • delle menzioni del brand (Brand Mentions)
  • degli hashtag su Twitter
  • dei retweets, sempre su Twitter

Occorre, in altri termini, individuare prima gli obiettivi dell’attività sul web e sui Social Media, da questi obiettivi definire gli strumenti/canali e da questi strumenti/canali derivare le KPI – Key Performance Indicator che sono coerenti per ogni canale. E’ chiaro che i parametri maggiormente  misurabili provengono dalla Web Analytics (analisi alla portata di tutte le aziende …).

Obiettivi (marketing) e risultati (metriche)

imageRiporto qui di seguito una bella infografica tratta da Flowtown che confronta le attività e  le potenzialità del Social Media Marketing, abbinato al Mobile marketing e supportato dal tradizionale E-mail Marketing.
Questa indagine, fatta negli USA, tanto per cambiare, rivela che nel 66% dei casi i marketers utilizzano i social media in modo integrato con le campagne DEM – Direct E-mail Marketing. Di questa integrazione è utilizzato nel 91% dei casi, Twitter nell’83,9%.
Per quanto riguardano gli obiettivi (primary goal) delle attività sui Social Media, l’infografica riporta lo strabismi che avevo accennato nella prima parte di questo mio articolo (metriche quantitative e web analytics centriche vs. obiettivi non riducibili ai soli elementi quantitativi e misurabili):

  • Il primary goal (40,6%) dell’azienda è la Brand Awarenes,
    • anche i Social media sono chiamati a rispondere alle domande che si fanno nei marketing plan:” Cosa mi differenzia dai miei competitor?” “Quali sono i miei punti di forza?” e quindi “Cosa e come voglio Comunicarlo?”
  • la metrica più importante (65,5%) è la conversione dei friends/follower in vendite ($)

marketing-trifecta

(seleziona l’immagine per  ingrandirla)
Questa dicotomia obiettivi/risultati tra Awareness/Vendite è tipica del marketing ed anche il SMM – Social Media Marketing non può sottrarsi, in quanto, rispetto alle tangibili attività della search marketing, nei Social le dimensioni sono più vicine agli aspetti della comunicazione dei valori del brand (e non solo). Nei Social Media conta molto il messaggio (la Content Strategy), l’Identity (vedi anche un mio recente articolo sulla Brand Reputation), la promessa di valore (slogan) e la tagline che ne deriva. Con le persone, nei Social, l’attività di comunicazione deve anche rappresentarsi, deve diventare discorso, conversazione… l’azienda, il brand deve narrarsi. Un percorso pull ben più arduo del posizionamento nella search o del display advertising …Comunque la combinazione SMM+DEM+Mobile proposta dell’infografica è virtuosa.