Obbligo di rettifica. In pericolo il ruolo dei blogger nella Brand Reputation

Leonardo Milan a Ore 12 di Antenna 3Colgo l’occasione della trasmissione televisiva Ore 12 che è andato in diretta il tre ottobre dalle 12.00 alle 13.00 su Antenna 3 NordEst (si vede sul digitale nel 13 in Veneto e nel 611 in Friuli e Trentino, e mentre siamo su SKY – quindi tutta Italia – nel 513), per pubblicare questo articolo con tanto di estratto video (che lusso, stavolta …)
Il tema che è stato scelto da Piergiorgio Palladin, il conduttore della trasmissione, è Web, opportunità, regole. La trasmissione in questa fascia oraria, ha un’audience, in media, di 70-100 mila persone, circa. Abbiamo fatto opera di evangelizzazione, quindi.
Sono stati trattati i contenuti del nuovo decreto sulle intercettazioni e sull’obbligo di rettifica da parte anche dei blog, alle opportunità di lavoro e business, all’impatto che internet sta avendo sulle dinamiche sociali. Il clima e la gestione della trasmissione è stato quello di un confronto aperto e sereno.
Hanno partecipato, oltre a me,  Giuliamaria Dotto, coordinatrice di Digital Accademia, Marco Frison, creatore di www.localitaly.it, Fabio Capraro, avvocato.

Ecco un ritaglio di 8 minuti, ricavato dalla prima parte della trasmissione, durata in tutto un’ora:

Perché occorre sperare che il parlamento modifichi drasticamente il DDL

In merito al decreto sulle intercettazioni (all’art. 1 comma 29) si prevede che … <<Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono>>. In altri termini i “siti informatici”, compresi i blog, quindi, sono equiparati ai “quotidiani e periodici diffusi per via telematica”.
Che cosa accadrà dopo l’approvazione di questo DDL?

  • si scrive, sul proprio sito o blog, qualcosa che non fa piacere alla azienda o alla persona che si sente più o meno coinvolta, offesa o non d’accordo con il contenuto;
  • l’azienda o la persona richiede di rettificare quello che abbiamo scritto, nei modi che più le fanno piacere;
  • il blogger ha due giorni di tempo (48 ore, per la precisione) per pubblicare la rettifica, altrimenti si paga una sanzione pesantissima, intorno ai 12 mila €uro.

Quanti sono i blogger in Italia colpiti da tale provvedimento? Da 1,2 a 1,3 milioni circa, vedi i datti sotto riportati, presi da un’indagine pubblicata in Liquida nel 2010. Tale stima potrebbe estendersi a 5 milioni circa, considerando tutte le pubblicazioni online degli utenti. Se consideriamo i Social Network … oggetto comunque (allo stato delle interpretazioni dell’attuale DDL) del provvedimento, le persone che potrebbero potenzialmente incorrere in tale sanzione potrebbero arrivare a 20 milioni circa, un italiano su tre.

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Capacità di auto-moderazione della rete

La mia opinione su questo decreto è ovviamente molto critica. In questo modo si vanno a colpire le opinioni e recensioni che i blogger postano anche sui brand, ridando alle aziende un potere di interdizione aggiuntivo alle leggi sulla diffamazione attualmente in vigore.
Questo fatto inficia la realtà del web in Italia e la ricerca di verità e veridicità dei contenuti:

  • La rete si comporta come un organismo e genera anticorpi che reagiscono alle intrusioni e alle mistificazioni. Si passa quasi ad un concetto di verità statistica.
    • chi ha esperienza di community e di social network sa benissimo cosa si intende per auto-moderazione, la capacità che ha la rete e la community di utenti di penalizzare reputare sconvenienti i contributi inappropriati
  • Con ciò dovrebbe crescere l’opportunità di un dialogo costruttivo e partecipativo tra consumatori e brand, cosa che invece il DDL penalizza

imageCercare scorciatoie è sempre pericoloso, legiferare a livello nazionale sulla restrizione della libertà di opinione nella rete internet (internazionale), genera più problemi di quanti ne risolve, sempre ammesso che si voglia risolverli, piuttosto che generare un clima di censura preventiva, come a me sembra.
Ogni canale ha sviluppato (e sta sviluppando) delle caratteristiche diverse (se non uniche) che vanno considerate se non si vuole rimanere bidimensionali. Trattare un sito internet, un blog come una testata giornalistica online (come considerare un Social Network come una chat, un canale video come una televisione, ecc.) è una semplificazione comoda e poco lungimirante.

Le due dimensioni della rete: sociale e istituzionale

“Per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, ed è quella sbagliata” Umberto Eco, Il pendolo di Foucault

Dall’avvento del Web 2.0 determinato dagli UGC (User Generated Content) si è formata una:

  • dimensione sociale (e NON istituzionale) (Blog, Social Network, Social Media, ecc.), dove prevale la condivisione e la reciproca influenza delle opinioni
  • diversa dalla dimensione istituzionale, preesistente all’avvento del web 2.0, una dimensione diversa anche nella struttura visiva e dei contenuti, una dimensione formata dai Siti aziendali, dalle testate giornalistiche, dai portali professionali, tematici, ecc. votati al Topic, al posizionamento, alla reputation, quindi
    • è ovvio che tale dimensione istituzionale è convalidata, riprovata, valutata e recensita dalla dimensione sociale
    • è nella dimensione sociale che si muove l’ambito dei blog e dei Social Network

Travolgere la dimensione sociale degli UGC (User Generated Content) nella dimensione istituzionale, come prevede la norma del DDL che considera “… i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica…” rappresenta un rovesciamento di prospettiva che il linguaggio burocratico, trattiene malcelata nella sua ineffabile ignoranza… lasciando solo il sospetto di voler intimidire senza voler governare i processi evolutivi e le dinamiche stesse della nostra società  fluida e sempre più connessa!

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Dalla Brand Reputation al Customer Insight. Approcci che si evolvono nei tempi delle crisi

Brand_StrategyPiccSarà una mia impressione ma della Brand Reputation (management incluso) mi sembra che se ne parli sempre di meno o che non sia più nei trend delle discussioni, dei post, ecc. nel caduco mondo del social networking professionale. Nei tempi delle crisi (finanziaria, economica… di fiducia nei mercati…) la risorsa della Reputation di un brand, di un’azienda lascia il posto, secondo la mia opinione, alla Consideration a tutto ciò che ruota attorno al processo di acquisto ed all’esperienza d’uso (il Customer Insight) dei prodotti. Vediamo perché.

Oltre il monitoraggio…

Personalmente ritengo che ci sia stata troppa attenzione al lato oscuro dei Social Media e alla relativa pericolosità dei commenti negativi. Le aziende, spaventate da questa possibilità hanno cominciato a pagare agency più o meno specializzate alle attività di Brand Reputation Management, dotate know-how e di più o meno affidabili strumenti di monitoraggio per filtrare dalle discussioni quei commenti che potevano diventare oggetto di intervento da parte dell’azienda. Come spesso capita con la tecnologia (i tools) si rischia di confondere lo strumento con il fine. Lo sviluppo della reputation è l’obiettivo, il monitoraggio è il mezzo. E’ più facile, però, fare monitoraggio della reputation che (ri)costruire un percorso di Brand Strategy (intesa come Brand Consideration Building) composto come dalla seguente grafica:

Brand_Strategy

In dettaglio, il percorso da seguire per costruire un percorso di Brand Strategy è il seguente:

  1. Brand Identity (identificare il business model, i valori, la promessa di valore, i punti di forza del brand, la sua identità, ecc.)
  2. Brand Positioning e Re-Positioning (ri-posizionare la marca rispetto alla concorrenza ed ai fattori di distintività, ecc.)
  3. Brand Awareness (creare conoscenza, comunicazione e consapevolezza attorno al valore promesso, intercettando le attese dei pro-sumer/consum-attori, ecc.)
  4. Brand Reputation Building (un’attività di development online e offline: è il comportamento del brand, infine, che mette l’accento sulla costruzione (building) rispetto al mero ascolto/monitoraggio previsto dal management)
  5. Brand Engagement (puntare sulla coerenza, sulla credibilità, con attenzione al passaparola, alle reti sociali… ad una  consideration che porti lo sviluppo condiviso della conoscenza, partecipando e condividendo la narrazione del brand…)

Un ecosistema digitale attorno al prodotto 

Occorre ri-pensare a brand e prodotti “… che hanno un storia da raccontare, una memoria da condividere e che si dimostrino in grado di creare un ponte tra la memoria etnica e quella estetica: una convergenza tra fenomeni di vintage dell’abbigliamento e quelli fashion dell’alimentazione” (F. Morace: Verità e bellezza. Una scommessa per il futuro dell’Italia)

Per realizzare la (ri)costruzione di una Brand Strategy occorre progettare un ecosistema digitale attorno ai prodotti, ci vuole talento, (brand)idee, capacità di orientare e di rischiare, anche. L’attività di Brand Consideration Building non l’ho inventata io ma è l’approccio che io utilizzo sempre in tutti i miei progetti di Digital Strategy (e non solo). La scaletta che ho sopra riportato rappresenta i imagepassaggi mentali che utilizzo per realizzare il concept di tali progetti, anche in situazione di scarsità di risorse (tempo e danaro).
Se quest’approccio lo ritenete più di Marketing che di Web/Digital/Social/Viral Marketing … ricordo che, parafrasando Alex Giordano,  l’unico marketing che serve è quello che funziona!
La grande possibilità che hanno le piccole e medie aziende che non possono permettersi cospicui investimenti a supporto di attività di Brand Strategy esternalizzate, oltre che di investimento sui media, è dunque quella di concentrarsi sul prodotto (product insight) e sull’esperienza di acquisto e di consumo: il Consumer Insight.

Tornare a concentrarsi sul prodotto senza però ricadere nelle vecchie logiche comunicative, ancora molto presenti nelle PMI, che riducono il marketing alla mera promozione/vendita, subalterno alle features dei prodotti. E’ dimostrato che non prevale il prodotto che a parità di funzionalità costa di meno: a prevalere è il prodotto che meglio si inserisce nel contesto dell’esperienza d’uso e nella rete relazionale del consumatore/cliente…

Il design dell’esperienza: Consumer Insight

imageLa vera evoluzione è passare dalla ricerca di mercato, dalla Reputation Monitoring dall’attuale malintesa Brand Reputation al Customer Insight Management. Le persone vogliono dialogare con chi i prodotti li fa e non con i marketing manager che si fanno intermediare dagli uffici stampa (per non parlare della responsabilità che vengono caricate sulle spalle degli stagisti delle varie Agency)…
La crisi finanziaria non può e non deve diventare crisi delle idee. Nella crisi di risorse e di capacità d’investimento occorre insistere, quindi, sulle idee e sulla connessione di quello che c’è già partendo soprattutto delle risorse interne dell’azienda, dal suo insight… piuttosto che investire preziose risorse improbabili campagne declinate prematuramente sui mezzi/strumenti 2.0 e senza un impianto strategico di Social Business, che orienti e guidi tutta l’attività di Brand Strategy .

Un’altra chiave di lettura può essere l’evoluzione dall’Insight al Foresight. L’insight “dentro e adesso” ha un impatto sull’attuale, sul cambiamento dello stato delle cose attuali nel mercato, il foresight dovrebbe essere invece una capacità di indirizzare l’evoluzione futura del mercato… ma questa è un’altra storia.

Se pensiamo, per esempio, alle vetrine dei cellulari di tre anni fa e le paragoniamo con quelle di adesso non si può non notare che lo spostamento di paradigma generato dall’iPhone/touch ha modificato il design di quasi tutti gli smartphone attualmente in commercio… diventando follower dei una fortissima brand identity. Anche per questo Google con l’acquisto di Motorola Mobile ha confermato il business model della Apple… ma questa è un’altra storia…